Cronaca

Addio a Salvatore Cascino, lo chef che fece grande il ristorante La Botte

E’ morto lo chef Salvatore Cascino, capostipite di una famiglia palermitana che ha dedicato tutta la sua vita alla cucina. Era il 1962 quando lo chef Salvatore Cascino entrò per la prima volta nello storico ristorante La Botte che si trova fra Monreale e Pioppo. Prima di diventare un ristorante vero e proprio, La Botte era una rivendita di vini sfusi, dopo aver conosciuto nel passato una non fortunata gestione come trattoria. “Io e mio fratello accettammo la sfida di lanciare un ristorante fuori porta, certi del richiamo del nome dei Cascino, già conosciuto in Italia e all’estero e fu subito un grande successo. Il ristorante, non ostentava lusso. Il nome “La Botte” deriva dalle origini del locale che conteneva grandi e piccole botti da cui spillare il vino”, raccontava lo chef.

La Botte divenne in poco tempo ristorante in cui cenarono vip come il calciatore Gianni Rivera o attori come Walter Chiari, Alberto Lupo, Wanda Osiris e Amedeo Nazzari. Ma anche personalità dello Stato come il generale Dalla Chiesa e il magistrato Paolo Borsellino. E Cascino non mancava di servire loro, le sue specialità, come gli gnocchi alla bava, gli spaghetti alla capricciosa “Di Liberto”, le tagliatelle al limone, le linguine don Carmelo, gli involtini alla siciliana, lo stracotto di maiale in salsa tartufata e ovviamente il famoso semifreddo o parfait con mandorle caramellate e cioccolata calda nato nel ‘62 chiamato “Alì Pascià”.

Ma Salvatore Cascino, nel suo curriculum vanta anche di aver preparato pranzi e cene per la Regina Elisabetta e per Papa Giovanni Paolo II. “La Regina Elisabetta venne servita da mio fratello Francesco Paolo direttamente a Londra e per lei cucinò, tra l’altro, la pasta con le sarde, apprezzatissima da tutti i commensali – raccontava lo chef – La Regina tuttavia aveva espresso anche il desiderio di gustare i cannoli, così mio fratello ne realizzò le scorze, ma non riuscendo a trovare sul posto la ricotta, preparò del biancomangiare, che sua maestà gradì. Il generale Dalla Chiesa mi chiamava “Totuccio” e pretendeva che gli dessi del tu. Continuai invece sempre a chiamarlo “Eccellenza”. La moglie di Kofi Annan, allora segretario generale dell’Onu, pranzando con il marito a “La Botte” si lamentò con il cameriere per la presenza dei semini nei fichidindia. E infine Frank Sinatra, che mio fratello aveva conosciuto e servito a Cleveland”. E poi il pranzo per Karol Wojtyla: “Fu servito il piatto “Noccioline di vitello di Porta Pia” – raccontava sempre lo chef – È il luogo in cui La Marmora sferrò l’attacco che pose fine al potere temporale della Chiesa. Le noccioline erano tirate in padella, bagnate al brandy, predisposte poi con julienne di prosciutto, funghi trifolati e mozzarella, gratinate al forno e con un cordoncino di demi glace”. Qualche tempo fa aveva deciso di congedarsi dalle sue cucine, passando il testimone al figlio Maurizio.

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