Capaci bis, Cassazione conferma i quattro ergastoli e un’assoluzione

Redazione

Palermo - La sentenza

Capaci bis, Cassazione conferma i quattro ergastoli e un’assoluzione
I supremi giudici hanno respinto tutti i ricorsi delle difese. Assolto Tutino

15 Giugno 2022 - 08:48

A trent’anni dall’attentato che il 23 maggio 1992 a Capaci uccise il giudice Giovanni Falcone, la moglie Francesca Morvillo e i tre agenti della scorta Vito Schifani, Rocco Di Cillo e Antonio Montinaro, la Cassazione dopo quattro ore di camera di consiglio, condanna definitivamente all’ergastolo i quattro mafiosi accusati di aver preso parte all’organizzazione della strage e di aver reperito l’esplosivo. Definitive dunque le condanne per Salvatore Madonia, Giorgio Pizzo, Cosimo Lo Nigro e Lorenzo Tinnirello. Definitiva anche l’assoluzione di Vittorio Tutino. I supremi giudici hanno respinto tutti i ricorsi delle difese, come chiesto anche dalla Procura della Cassazione rappresentata dalla Pg Delia Cardia, che ha sottolineato lo stretto coordinamento con il Procuratore generale Giovanni Salvi nel definire la requisitoria. Non tornerà quindi sotto processo Vittorio Tutino, il “soldato di mafia”, così lo ha definito Cardia, uscito sempre prosciolto dal processo nonostante del suo “attivismo” nella stagione delle bombe abbia parlato Gaspare Spatuzza, il pentito che ha svelato i depistaggi nelle indagini sull’attentato a Paolo Borsellino e alla sua scorta.

Nel 2008 la Cassazione ha condannato i mandanti della strage di Capaci – il “gotha” di Cosa Nostra – e gli esecutori materiali, tra i quali Giovanni Brusca, che azionò il telecomando. La Pg Cardia aveva però sostenuto che “nell’assoluzione di Tutino c’è stata da parte della sentenza di appello una caduta totale di logicità nel metodo utilizzato, si è seguito un percorso tutto di facciata”. Insomma, Tutino è ancora “un’ombra da illuminare”, come ha insistito anche il Pg nisseno nel suo ricorso alla Suprema Corte. I giudici della Corte di Assise di Appello di Caltanissetta, in sostanza, nella loro sentenza del 21 luglio 2020 si sarebbero fatti influenzare dall’assoluzione di Tutino emessa in primo grado “con una omessa valutazione – ha proseguito la Pg Cardia – di materiali decisivi e probatori sull’attivismo di Tutino anche nella strage di Milano”. E poi ci sono le sentenze di Firenze che parlano “della sua probabile partecipazione a tutti gli attentati, data la caratura del personaggio, uomo di fiducia di Graviano”. Per la Pg Cardia, “lo dobbiamo a tutte le vittime di Capaci un nuovo processo a Tutino”, per il suo ruolo “credo che sia veramente mancata l’analisi delle emergenze processuali”. Per i giudici della Cassazione, però, non è così e il processo non si deve rifare.

A far scattare il piano che portò alla morte di Falcone decisa da Cosa Nostra tra il 1982 e il 1986 – come ricordato in udienza davanti alla Seconda sezione penale presieduta da Geppino Rago – è stato il passaggio in giudicato delle condanne del maxiprocesso, un esercito iniziale di 471 imputati di mafia, ratificate dalla Cassazione il 30 gennaio 1992. In quel momento finì la “sospensiva” della “fatwa” che pendeva sul giudice Falcone che istruì il maxiprocesso con Paolo Borsellino e il pool di Antonio Caponnetto. Cinquantasette giorni dopo Capaci, ci fu la strage di Via D’Amelio.

“La sentenza della Cassazione, che conferma l’imponente lavoro investigativo fatto dalla Procura coordinata da Sergio Lari e le condanne inflitte dai giudici di Caltanissetta ai boss Salvatore Madonia, Lorenzo Tinnirello, Giorgio Pizzo e Cosimo Lo Nigro, accerta pienamente le responsabilità di Cosa nostra nella fase esecutiva della strage di Capaci, sancendo in via definitiva il ruolo del mandamento mafioso di Brancaccio”. Lo ha detto Maria Falcone, sorella del giudice, dopo la sentenza della Cassazione del processo Capaci bis.

“Il verdetto inoltre – ha proseguito – apre allo scenario della convergenza di interessi nell’attentato, prospettato nella sentenza della corte d’assise, sulla base di due elementi accertati dai magistrati: il sondaggio che, ha raccontato il pentito Giuffrè, venne fatto da Cosa nostra presso ambienti politici e imprenditoriali prima dell’attentato; e il diktat di Riina che, a marzo del 1992, disse ai suoi di fermare la missione romana che avrebbe dovuto eliminare Giovanni Falcone perchè a Palermo “c’erano cose più importanti da fare. Elementi che fanno pensare appunto a una convergenza di ambienti esterni alla mafia nell’interesse ad uccidere Giovanni. Ci auguriamo – ha concluso – che su questa strada si possa fare piena chiarezza sia sulla strage di Capaci che su quella di Via D’Amelio che tanti punti oscuri ancora presenta”. FONTE ANSA

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