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Mafia, asse Palermo-Usa, colpo a storico clan di Torretta: 10 arresti

Colpo alla famiglia mafiosa di Torretta. Su delega della Direzione distrettuale antimafia i carabinieri del Comando provinciale di Palermo hanno dato esecuzione a 11 misure cautelari, emesse dal gip, a carico di altrettanti indagati, accusati a vario titolo di associazione di tipo mafioso, detenzione di stupefacenti, favoreggiamento personale e tentata estorsione con l’aggravante del metodo mafioso. Per nove è scattata la custodia cautelare in carcere, uno è finito agli arresti domiciliari mentre per l’undicesimo è scattato l’obbligo di dimora nel comune di residenza.

Le indagini, condotte dal nucleo Investigativo dei carabinieri di Palermo e coordinate da un pool di magistrati diretti dal procuratore aggiunto Salvatore De Luca, hanno fatto luce sulla struttura e le attività criminali di una storica articolazione di Cosa nostra palermitana, la famiglia mafiosa di Torretta appunto, inserita nel mandamento di Passo di Rigano. Stabilmente ancorata nell’omonimo paese, un piccolo borgo con poco più di 4.000 abitanti nell’hinterland palermitano, da sempre roccaforte mafiosa e punto di collegamento tra Cosa nostra siciliana e l’omologa organizzazione criminale newyorkese, la famiglia mafiosa di Torretta in passato si è distinta, tra l’altro, per il ruolo dei suoi esponenti quali garanti per il rientro in Italia dei cosiddetti scappati, ossia la fazione sconfitta e ostracizzata dai corleonesi di Totò Riina al termine della seconda guerra di mafia.

La complessa indagine ha rivelato un quadro completo della realtà mafiosa di Torretta, caratterizzata da una costante, sebbene incruenta, conflittualità interna nell’ambito della quale emergevano soggetti appartenenti a fazioni storicamente slegate fra loro, tra cui: Raffaele Di Maggio, figlio dello storico esponente mafioso torrettese Giuseppe, detto “Piddu i Raffaele”, deceduto nel gennaio 2019, al vertice della famiglia mafiosa torrettese coadiuvato attivamente da Ignazio Antonino Mannino, anch’egli con funzione direttiva e organizzativa del sodalizio, e da Calogero Badalamenti, affiliato cui è stata affidata l’area di Bellolampo; Lorenzo Di Maggio, detto “Lorenzino”, affiliato del sodalizio scarcerato nell’agosto del 2017 e sottoposto alla misura della sorveglianza speciale con obbligo di soggiorno nel comune di Carini; Calogero Caruso, detto “Merendino”, anziano affiliato già figura di vertice della famiglia mafiosa torrettese, sotto il quale si andava accreditando il nipote Filippo Gambino; Calogero Christian Zito, affiliato alla famiglia mafiosa torrettese monitorato in numerosi spostamenti tra l’isola e gli Usa.

Accanto a loro, le indagini svolte in direzione di due imprenditori edili torrettesi, i fratelli Puglisi, pienamente inseriti nelle dinamiche investigate, permetteva di rilevare, da un punto di osservazione particolarmente autentico, lo spaccato socio-criminale della realtà mafiosa dell’area investigata. In particolare, l’indagine h consentito di delineare la struttura della famiglia mafiosa torrettese, oltre che individuare i canali di comunicazione con gli esponenti di vertice del mandamento mafioso di Passo di Rigano, cristallizzandone le funzioni e definendone le modalità di interazione con le paritetiche realtà mafiose urbane. I militari hanno documentato il persistente e saldo legame con esponenti di spicco de “la cosa nostra” statunitense capace, da un lato, di condizionare, attraverso propri emissari, gli assetti criminali torrettesi e, dall’altro, essere fonte di tensioni in occasione dell’omicidio del mafioso newyorkese Frank Calì, esponente apicale della famiglia “Gambino” di New York.

Dalle indagini è emerso anche come il clan si fosse inserito forzatamente nel locale tessuto economico, caratterizzato da attività connesse all’edilizia, all’agricoltura e all’allevamento di bestiame, tramite l’imposizione delle sensalerie nelle compravendite e attraverso il diretto intervento nelle dinamiche di compravendita degli animali e dei terreni; individuarne la capillare ingerenza nelle dinamiche relative alle commesse di lavoro pubbliche e private a Torretta e nei limitrofi comuni di Capaci, Isola delle Femmine e Carini, oltre che in alcuni quartieri di Palermo. Ricostruire, prima del commissariamento avvenuto il 7 agosto 2019, il proposito di infiltrarsi nella locale amministrazione comunale, tuttora commissariata, e di indirizzare le relative decisioni amministrative, nonché di modificare l’esito delle elezioni comunali, fornendo, nel corso delle elezioni amministrative del 2018, supporto ai candidati di schieramenti opposti.

Dall’indagine è stato possibile ricostruire puntualmente numerosi incontri riservati organizzati nelle zone rurali tra gli affiliati del sodalizio ed in particolare un summit avvenuto la sera del 21 novembre 2018 presso l’abitazione di Raffele Di Maggio, tra le figure verticistiche della famiglia mafiosa. Alla riunione oltre al proprietario dell’immobile, erano presenti Ignazio Antonino Mannino, Calogero Badalamenti e il padre di Calogero Christian Zito, su cui pende un mandato di cattura.

La missione a Palermo alla fine del mese di settembre del 2018 di un emissario di cosa nostra d’oltreoceano, accolto dai vertici della famiglia mafiosa di Torretta. La permanenza dell’uomo nell’area torrettese veniva garantita, tra gli altri, dai fratelli Puglisi che, dividendosi i ruoli, ne curavano il prelevamento in aeroporto e ne garantivano il soggiorno in una lussuosa villa con piscina di Mondello, dove veniva fatto dono di alcuni grammi di cocaina in segno di benvenuto. Nel periodo trascorso sull’isola, l’emissario partecipava ad una riunione con Raffaele Di Maggio, avvenuta il 2 ottobre 2018 presso l’abitazione di quest’ultimo a Torretta ed effettuava un secondo incontro riservato nella zona di Baucina; l’immediata attivazione della consorteria all’indomani dell’omicidio del mafioso americano Frank Calì detto “Franky Boy”, avvenuto a Staten Island (New York) la sera del 13 marzo 2019. Nei giorni successivi, si registrava la partenza per gli Stati Uniti del figlio di uno degli indagati, che, durante la sua permanenza a New York, si relazionava anche con elementi ritenuti appartenere alla locale organizzazione mafiosa, fra cui proprio l’emissario monitorato nel torrettese nel settembre 2018. Rientrato dal viaggio, il giovane riferiva il clima di profonda tensione creatosi sulla sponda americana, esprimendo le proprie valutazioni sulla possibile successione del Calì alla guida della compagine mafiosa americana. Contestualmente, a Torretta si registravano i commenti “di prima mano” di alcuni degli indagati che conoscevano personalmente Frank Calì e che, in un primo momento, avevano temuto che l’episodio potesse ingenerare una pericolosa escalation di violenze nella quale rischiavano di rimanere direttamente coinvolti anche altri soggetti a lui vicini, considerati attivi nel contesto mafioso americano.

I militari hanno documentato il danneggiamento di un automezzo dei fratelli Puglisi, interpretato come un segnale del proprio mancato allineamento alla fazione mafiosa in auge, i loro propositi di vendetta e il tentativo di estorsione operato ai danni di un cugino, nonché una disputa con un altro compaesano, nata da motivi legati ai confini delle rispettive tenute agricole di Piano dell’Occhio, dove si registrava il ricorso – da entrambe le parti – alle figure apicali della consorteria per la risoluzione definitiva della controversia. I fratelli Puglisi si rivolgevano, infatti, per la tutela delle loro presunte ragioni, a Raffaele Di Maggio, mentre l’altro protagonista della vicenda si faceva forte della protezione di Giovanni Angelo Mannino.

L’approfondimento investigativo svolto in direzione della famiglia mafiosa torrettese permetteva, nel complesso, di registrare diversi tentativi, da parte del sodalizio, di esigere, avvalendosi della forza d’intimidazione del vincolo associativo, somme di denaro e utilità da parte di diverse vittime; tra queste emerge un tentativo di estorsione seguito da diversi atti intimidatori, consistiti in piccoli furti e danneggiamenti, perpetrati ai danni di un imprenditore agricolo palermitano, inseritosi nella zona torrettese e subito avvicinato dalla consorteria, che, sin da subito, ha mostrato la propria collaborazione, denunciando le pressioni subite.

In definitiva, le indagini restituiscono una rinnovata vitalità della famiglia mafiosa di Torretta che, forte dei suoi legami con gli affiliati americani e della ritrovata autorevolezza dei vertici del mandamento, puntava a ritornare ai fasti del passato, ergendosi nuovamente a testa di ponte fra le due anime di cosa nostra, quella siciliana e quella d’oltremare, da sempre costituenti due facce di una stessa medaglia.

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