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Mafia, operazione “Passepartout”: in manette politico vicino a Messina Denaro

Militari della guardia di finanza di Palermo e Sciacca e carabinieri del Ros e del Comando provinciale di Agrigento, hanno dato esecuzione ad un provvedimento di fermo emesso dalla Procura della Repubblica di Palermo nei confronti di 5 persone, ritenute appartenenti o comunque contigui alla famiglia mafiosa di Sciacca (AG). In corso decine di perquisizioni su tutto il territorio di Sciacca, che vedono impiegati oltre 100 finanzieri e carabinieri, supportati da mezzi aerei e unità cinofile, che riguardano abitazioni, uffici, aziende e negozi nella disponibilità degli indagati. I cinque destinatari del fermo sono: Accursio Dimino; Antonino Nicosia (detto Antonello); Paolo Paolo; Luigi Ciaccio; Massimiliano Mandracchia.

Le indagini hanno evidenziato come i cinque fermati, seppur in un momento di assoluta difficoltà della cosca saccense, abbiano continuato a reiterare le forme sistematiche di controllo del territorio tipiche del fenomeno mafioso. In particolare è emersa la figura carismatica di Accursio Dimino, detto “Matiseddu”, già condannato per associazione mafiosa – da ultimo nel 2010 – per il suo ruolo espresso in Cosa Nostra, per la quale, nel tempo, è stato “reclutatore di nuovi adepti”, assoluto interprete nell’acquisizione di attività economiche ed appalti di opere pubbliche nel settore edile e turistico-alberghiero, per assumere, nel primo decennio degli anni 2000, il ruolo di capo della famiglia mafiosa di Sciacca.

Dimino, negli anni ’90, per conto della famiglia di Sciacca ha avuto un ruolo centrale nello sviluppo di dinamiche associative ultra-provinciali, mantenendo contatti e veicolando “pizzini” con i corleonesi, in particolare con Totò Riina e Giovanni Brusca. In quegli anni, le indagini avevano, inoltre, accertato i contatti con il latitante mafioso Matteo Messina Denaro. A partire dalla sua scarcerazione, sono stati documentati i rapporti intrattenuti da Dimino con mafiosi operanti nel territorio di Sciacca, di Castellammare del Golfo (TP) e con taluni personaggi ritenuti contigui alla famiglia mafiosa Gambino di New York, con cui Dimino si è in particolare relazionato con un soggetto con cui aveva pianificato un’attività criminale che successivamente non è stata portata a compimento a causa dell’improvviso omicidio – avvenuto a New York lo scorso 13 marzo – di Frank Calì (alias FrankieBoy), esponente di spicco della famiglia mafiosa italo-americana, evento questo immediatamente comunicato in Sicilia dagli Stati Uniti.

Fra i fatti contestati a Dimino nel provvedimento emesso dalla Direzione Distrettuale Antimafia della Procura di Palermo vi sono le pressioni su imprenditori locali per consentire a imprese riconducibili a propri sodali di ottenere appalti, l’attività di recupero crediti a beneficio di soggetti legati a uomini d’onore, danneggiamenti e altre azioni per finalità estorsive. Alcuni colloqui intercettati nel corso delle indagini svelerebbero inoltre come abbia rappresentato, in passato, l’ala più dura della famiglia, facendo parte del cosiddetto “triumvirato”, lo storico gruppo di fuoco operante negli anni ‘90 Sciacca.

Nell’ambito delle indagini è emersa la figura di Antonino Nicosia inteso Antonello, esponente di rilievo dei Radicali Italiani, pure lui destinatario del provvedimento di fermo in quanto ritenuto organico alla famiglia mafiosa saccense, già noto in quanto, tra le altre cose, condannato in via definitiva alla pena di anni 10 e mesi 6 di reclusione per partecipazione ad associazione finalizzata al traffico di sostanze stupefacenti, scarcerato da ormai oltre 10 anni. Gli approfondimenti effettuati hanno consentito di documentare: il pieno inserimento di Nicosia nel contesto mafioso saccense, emerso con evidenza anche dalle conversazioni intercorse tra l’indagato e Accursio Dimino; la richiesta finalizzata alla consumazione di eventi delittuosi cruenti in danno di proprio debitore rivolta da Nicosia a un soggetto gravitante nel panorama mafioso saccense che, accogliendola, si limitò soltanto a volerne decidere le modalità e i tempi di attuazione; una riservata riunione effettuata a febbraio del 2019 a Porto Empedocle tra Nicosia e due pregiudicati, di cui uno fidato sodale del latitante Messina Denaro, nel corso del quale i tre affrontavano alcuni argomenti, chiamando in causa direttamente il boss latitante al quale doveva essere destinata una somma di denaro; l’uso strumentale del rapporto di collaborazione instaurato da Nicosia con una Parlamentare, rapporto questo utilizzato per un periodo dall’indagato per accedere all’interno di diverse carceri del territorio nazionale ed avere contatti anche con altri esponenti reclusi di cosa nostra; l’impegno profuso da Nicosia per la realizzazione di un non meglio delineato progetto che, afferente il settore carcerario, interessava direttamente Matteo Messina Denaro da cui l’indagato, per l’opera svolta, si aspettava di ricevere un ingente finanziamento non ritenendo sufficienti i ringraziamenti che asseriva di avere ricevuto.

“Le indagini svolte nei confronti di Nicosia – spiegano gli inquirenti – hanno quindi permesso di acquisire elementi in merito alla sostanziale affiliazione all’organizzazione mafiosa saccense e alla sua contiguità all’omologa realtà castelvetranese, sodalizi questi in favore dei quali Nicosia ha fornito un contributo rilevante anche sfruttando la propria posizione pseudo-istituzionale e il connesso qualificato circuito relazionale”. Nicosia, spendendo titoli docenza anche internazionali, nonché quale appartenente al Comitato Nazionale dei Radicali Italiani e direttore della Onlus Osservatorio Internazionale dei Diritti dell’Uomo (O.I.D.U.), ha operato nell’ambito assistenziale del settore carcerario, accedendo all’interno di alcuni istituti di detenzione e intrattenendo rapporti con operatori penitenziari.

In tale contesto si è adoperato fattivamente al fine di favorire alcuni detenuti vicini a Messina Denaro tra cui Filippo Guttadauro (cognato del latitante); nella prima puntata del suo programma televisivo e via web “Mezz’ora d’aria”, titolata Misure di Sicurezza – il caso Tolmezzo e trasmessa da una emittente locale, ha intervistato un avvocato con cui si soffermava a disquisire in ordine ad un’asserita anticostituzionalità della procedura di applicazione delle misure di sicurezza (fenomeno dei cosiddetti “ergastoli bianchi”) con particolare riguardo ai detenuti in regime di 41 bis della Casa Circondariale di Tolmezzo; sfruttando la possibilità che aveva di accedere all’interno delle carceri, si proponeva di veicolare messaggi tra soggetti liberi (a vario titolo contigui al contesto mafioso siciliano) e detenuti già condannati in via definitiva. I rapporti con i detenuti erano resi possibili, tra l’altro, dall’utilizzo da parte di Nicosia del rapporto di collaborazione che aveva instaurato con una Parlamentare.

In virtù di tale rapporto, infatti, Nicosia ha partecipato ad alcune ispezioni carcerarie parlamentari e ha sicuramente fatto accesso all’interno delle carceri di Sciacca (AG), Agrigento, Trapani e Tolmezzo (UD) senza la preventiva autorizzazione del Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria e ciò sfruttando le prerogative riconosciute dalle norme sull’ordinamento carcerario ai membri del Parlamento e a coloro che li accompagnano.

Parallelamente all’esecuzione dei fermi, su disposizione dell’Autorità Giudiziaria, i militari stanno procedendo a sequestrare agli indagati disponibilità finanziarie – tra le quali una carta di credito collegata a conti esteri – e patrimoniali, tra cui un’imbarcazione, tenuto conto che gli stessi risultano disporre, anche per interposta persona, di beni e altre utilità in valore sproporzionato al reddito da loro dichiarato.

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