Palermo

Mafia, operazione dei carabinieri a Palermo: 27 persone arrestate. Uno è di Monreale

Maxi operazione dei carabinieri del Ros e del comando provinciale di Palermo. Sono 27 le persone arrestate per associazione mafiosa, estorsione, esercizio abusivo di attività di gioco e scommessa, traffico di stupefacenti e trasferimento fraudolento di valori. L’operazione è stata denominata “Falco”. Il provvedimento a conclusione di un’indagine condotta dai Ros nei confronti della famiglia mafiosa di Santa Maria di Gesù, che ha consentito di accertare il processo di riorganizzazione interna e la pervasiva capacità di infiltrazione del tessuto economico del quartiere. I militari hanno individuato i vertici della famiglia designati attraverso un vero e proprio meccanismo elettorale a cui prendevano parte gli “uomini d’onore”. Durante l’oprazione è stato sottoposto a sequestro preventivo un bar, con inclusa attività di esercizio delle scommesse, del valore di 200 mila euro. GUARDA LE FOTO DEGLI ARRESTATI

“La famiglia mafiosa di Santa Maria di Gesù – ha dichiarato il comandante provinciale dei carabinieri Antonio Di Stasio – è storicamente tra le più antiche e influenti di cosa nostra. E’ stata capace di riorganizzarsi internamente dopo ogni operazione delle Forze dell’Ordine e della Magistratura. Nonostante la recente morte del capo dei capi, anche l’operazione odierna conferma – aggiunge il colonnello Di Stasio – ancora una volta, come cosa nostra prosegua lungo il solco tracciato da lunghi anni di storia criminale, tramandando regole e tradizioni ferree ai nuovi affiliati, ricostruendo di volta in volta la sua gerarchia con elezioni dei rappresentanti ai vari livelli, controllando il territorio, ricorrendo all’uso della violenza nella pratica estorsiva e sostenendo gli affiliati detenuti e le rispettive famiglie. Sono trascorsi poco meno di 10 giorni da quando l’Arma dei Carabinieri ha duramente colpito un’altra storica famiglia mafiosa cittadina, quella di Borgo Vecchio. Ma, nonostante il momento storico abbia dimostrato segnali di cambiamento di direzione della Sicilia, questa volta non si è registrata la stessa collaborazione dei commercianti che hanno denunciato i loro estortori. Per questo, invito nuovamente a non cedere alla paura, ad abbattere il muro di omertà e ad affidarsi allo Stato: questo è l’unico modo per liberarsi dal giogo del pizzo e questa è l’unica strada percorribile, così – ha concluso Di Stasio – come ci è stata indicata da memorabili magistrati quali Falcone e Borsellino e da eroici imprenditori quali Libero Grassi”.

I PRECEDENTI

L’indagine “Falco” costituisce un’ulteriore fase di una articolata indagine avviata nel 2011 dal Ros sul mandamento mafioso di Santa Maria di Gesù – Villagrazia e che, sviluppata progressivamente con le indagini Torre dei Diavoli, Brasca e Bingo Family, ha consentito di documentarne la perdurante operatività della famiglia e di individuarne i vertici e gli appartenenti. Con l’operazione Torre dei Diavoli, conclusa a dicembre del 2015 con l’esecuzione di un provvedimento di fermo emesso dalla Procura Distrettuale di Palermo nei confronti di 6 indagati, cui seguiva una ordinanza di custodia cautelare in carcere a carico di 10 indagati, è stato accertato: il coinvolgimento di alcuni degli arrestati di oggi (Natale Giuseppe Gambino, Salvatore Profeta, Antonino Profeta, Francesco Pedalino, Gabriele Pedalino e Lorenzo Scarantino) nell’omicidio di Salvatore Schiacchitano, agguato in cui rimase ferito anche Antonino Arizzi; il ruolo di reggente assunto da Giuseppe Greco all’interno della famiglia mafiosa di Santa Maria di Gesù. Con l’indagine Brasca, conclusa a marzo del 2016 con l’emissione di un provvedimento cautelare nei confronti di 62 indagati, è stato disvelato l’organigramma del mandamento con al vertice l’allora in vita Mario Marchese inteso Mariano. Con l’operazione Bingo Family, conclusa a luglio del 2016 sono state accertate le estorsioni aggravate dal metodo mafioso ai danni dei responsabili di una importante sala Bingo del capoluogo, perpetrate Cosimo Vernengo, dal fratello Giorgio e da Paola Durante.

INDAGINE FALCO

Nell’ambito dell’indagine Falco i militari hanno individuato con precisione ruoli, gerarchie, dialettiche e controversie della famiglia mafiosa di Santa Maria di Gesù, e dicumentato diversi reati fine commessi dagli indagati. Le intercettazioni hanno permesso di evidenziare che gli associati hanno: curato la riorganizzazione della famiglia mafiosa e le relative elezioni dei vertici; profuso ogni sforzo al fine di ottenere un ferreo e penetrante controllo del territorio; fatto ricorso sistematico alla violenza quale strumento per la realizzazione degli obiettivi dell’associazione; operato al fine di ottenere un completo assoggettamento alla pratica estorsiva delle varie entità economico-commerciali del territorio; provveduto a svolgere attività di sostegno e mutua assistenza ai sodali, compresi i detenuti, attraverso la distribuzione dei proventi.

IL PROCESSO DI RIORGANIZZAZIONE E IL “SISTEMA ELETTORALE MAFIOSO”

L’intero processo di riorganizzazione della famiglia di Santa Maria di Gesù che vede tra gli affiliati Giuseppe Greco (già condannato per associazione mafiosa, tratto in arresto dal Ros con l’indagine Torre dei Diavoli quale reggente della famiglia), Gaetano Messina (consigliere della famiglia), Natale Giuseppe Gambino (sottocapo), Salvatore Profeta (di fatto consigliere del reggente), Antonino Profeta, Giuseppe Contorno, Francesco Pedalino (capo decina), Cosimo Vernengo classe 64, Cosimo Vernengo classe 66, Salvatore Lo Iacono, Salvatore Grecoli e Girolamo Mondino.

In particolare è stata documentata un’attività tipica di cosa nostra, in passato descritta soltanto dai primi collaboratori di Giustizia, ovvero l’elezione dei rappresentanti mediante un sistema elettivo a cui hanno aderito tutti gli uomini d’onore della famiglia. Attraverso lo stretto monitoraggio degli affiliati, a settembre del 2015 sono state documentate le fasi precedenti, concomitanti e successive ad una importante riunione svoltasi il 10 settembre 2015 presso un ristorante palermitano durante la quale sono state formalizzate le cariche interne della famiglia di Santa Maria di Gesù. Alla presenza di almeno 12 uomini d’onore, Giuseppe Greco veniva confermato reggente mentre Natale Giuseppe Gambino e Gaetano Messina divenivano rispettivamente sottocapo e consigliere. Francesco Pedalino e Mario Taormina erano stati invece nominati capi decina. Antonino Profeta, pur in assenza di un incarico formale, veniva presentato come rappresentante di Giuseppe Greco mentre Salvatore Profeta scelse di non concorrere per alcun ruolo sia per l’età avanzata che per non sottrarre posti ai citati sodali.

Le intrcettazioni durante le fasi delle elezioni del reggente (definito “il principale”) rappresentano un dato assolutamente inedito nel panorama investigativo, poiché la vigenza di tale pratica era emersa soltanto nei riferimenti dei primi collaboratori di Giustizia degli anni ’80 (Tommaso Buscetta, Vincenzo Marsala, Salvatore Contorno e Francesco Marino Mannoia). Le procedure di elezione, ad imitazione delle vere competizioni politiche, sarebbero tuttora basate su una preliminare attività di propaganda a favore dei candidati, anche se in realtà non vi sarebbe stato nella circostanza un vero e proprio antagonista alla figura di Giuseppe Greco che, in funzione della carica di reggente già assunta, avrebbe ottenuto da subito il consenso degli affiliati più autorevoli, tra i quali lo stesso Salvatore Profeta il quale si è offerto di appoggiare Giuseppe Greco probabilmente per la sua parentela con il collaboratore Vincenzo Scarantino, certamente ingombrante, e per via dell’età avanzata. GUARDA LE FOTO DEGLI ARRESTATI

Dopo l’attività di propaganda, la vera e propria elezione, che avviene attraverso il voto di tutti gli affiliati che esprimerebbero la preferenza a scrutinio palese (“ad alzata di mano… per vedere l’amico”) anche se nel passato si ricorreva ad urne consegnate ai capodecina per la raccolta tra i soldati. La procedura elettiva avverrebbe oggi solo per le cariche di capofamiglia/reggente e consigliere, mentre le nomine per i ruoli di sottocapo e capodecina sarebbero riservate allo stesso capo famiglia eletto. Se la base dell’organizzazione esprimerebbe i vertici, il capofamiglia/reggente designerebbe a suo insindacabile giudizio i propri collaboratori. Secondo tale principio si inquadra l’assegnazione a Antonino Profeta di un incarico fiduciario al di fuori delle funzioni tradizionali ed alle dirette dipendenze del vertice che l’avrebbe autorizzato ad eludere le rigide regole della gerarchia mafiosa e l’obbligo di informazione dei quadri immediatamente superiori.

Il quadro si è arricchito di interessanti riferimenti al periodo precedente la seconda guerra di mafia quando le elezioni costituivano un mero fatto formale, essendo la carica di capofamiglia (e capomandamento) di pertinenza esclusiva dello storico esponente Stefano Bontate, inteso il principe di Villagrazia e/o il Falco, ucciso nell’aprile del 1981. Il ricordo della assoluta autorità di Bontate, benché vittima del tradimento dei suoi stessi collaboratori schieratisi con i corleonesi, si è rivelata circostanza ancora presente a distanza di molti anni tra gli attuali indagati che hanno stigmatizzato come “il generale non ne ha vinto mai guerra senza soldati”, esaltando la forza della famiglia come entità (tutti siamo utili e nessuno è… indispensabile!) in grado di imporsi all’interno ed all’esterno (l’unica legge che conosci tu… è quella del più forte!).

Il riordino dell’organizzazione era divenuto necessario dopo l’eliminazione violenta nel settembre 2011 di Giuseppe Calascibetta, a seguito di contrasti nella cattiva gestione della cassa comune, con la contestuale carica protempore assunta da parte di Giuseppe Greco. Le fasi di fibrillazione registrate in quel frangente avevano determinato la necessità di una formalizzazione dello status quo, al fine di legittimare i rapporti di forza interni alla famiglia.

In tale ottica era imprescindibile l’esigenza di palesare la capacità di estrinsecazione della forza da parte del gruppo di vertice, al fine sia di congelare la posizione di supremazia annichilendo eventuali oppositori sia di riaffermare il controllo sul territorio di influenza, punendo anche iniziative di soggetti legati alla medesima compagine mafiosa senza che fossero preventivamente autorizzate. In merito sono stati documentati violenti atti intimidatori, sfociati in risse e anche in un omicidio. In tal senso è stato accertato il pieno coinvolgimento della famiglia mafiosa nell’agguato a Salvatore Schiacchitano, ucciso il 3 ottobre 2015, colpevole di aver partecipato, solo poche ore prima ed in compagnia di Francesco Urso (figlio e nipote degli uomini d’onore Giuseppe Urso, detto Franco e Cosimo Vernengo classe 64, entrambi oggi tratti in arresto), al ferimento di Luigi Cona, soggetto legato al medesimo sodalizio pur non essendone organico.

IL CONTROLLO DEL TERRITORIO E IL RICONOSCIMENTO ESTERNO DELL’ASSOCIAZIONE

La famiglia mafiosa di Santa Maria di Gesù è stata in grado di esercitare a pieno il controllo del territorio, perpetrando con pervicacia la pratica dell’estorsione, senza che nessuna delle vittime abbia denunciato le imposizioni subite. Del pari, il riconoscimento esterno dell’associazione è stato espresso anche da imprenditori che, in linea con la ricostruzione giurisprudenziale della figura dell’“imprenditore colluso”, hanno fatto ricorso agli indagati al fine di ottenere la commissione di lavori presso terzi. Ai minori livelli della famiglia, anche se talvolta accompagnati da soggetti di maggior peso criminale, era inoltre delegato anche l’esercizio della violenza necessario per esercitare il controllo sul territorio e, in tal senso, è stato documentato un pestaggio ai danni di un soggetto non identificato a cui partecipavano Giuseppe Tinnirello, Lorenzo Scarantino e Antonino Profeta, raggiunti poi da Francesco Pedalino.

IL FERREO RISPETTO DELLE REGOLE DI COSA NOSTRA

Le intercettazioni, eseguite in luoghi considerati assolutamente sicuri dagli indagati, hanno inoltre consentito di avere cognizione del ferreo ed ortodosso rispetto delle regole di cosa nostra. Salvatore Profeta e Giuseppe Natale Gambino si sono profusi in vere e proprie lezioni di mafia da impartire ai più giovani affiliati, con riferimento a regole di comportamento e di interrelazione gerarchica. Proprio in occasione di un rimprovero mosso da Giuseppe Greco a Gambino, relativamente ad una estorsione affidatagli, le giustificazioni utilizzate dal rimproverato per discolparsi hanno rappresentato il primo caso in cui indagati intercettati hanno esplicitato l’esistenza in termini di cosa nostra, peraltro invocandola come entità d’appartenenza di supremo e incondizionato rispetto e in ossequio alla quale l’affiliato mai avrebbe disatteso gli ordini ricevuti (“Quando parliamo di cosa nostra… parliamo di cosa nostra! Quando dobbiamo babbiare …babbiamo!”).

IL SOSTEGNO DI DETENUTI E FAMILIARI E LA GESTIONE DELLA CASSA COMUNE DEL SODALIZIO

La rigidità del dettame mafioso è estesa, nelle indagini, all’operoso sostentamento dei detenuti e dei familiari, in ossequio ad un dovere imprescindibile, a cui poter assolvere attraverso gli introiti provenienti dalle estorsioni. Sono state in tal senso puntualmente documentate le dazioni di denaro in favore della coniuge di Carlo Greco, fratello di Giuseppe, storico capo mandamento attualmente detenuto all’ergastolo. Le intercettazioni, infine, rivelavano l’esistenza di una cassa comune gestita per conto dell’intera famiglia; in merito è stato possibile documentarne il passaggio da Giuseppe Natale Gambino a Francesco Pedalino in seguito alla determinazione delle cariche e dei ruoli e, dopo l’arresto di Pedalino, a Pietro Cocco il quale provvedeva a registrare entrate e uscite e a custodire il denaro occultandolo.

GLI ARRESTATI. UNO E’ MONREALESE
1. COCCO Pietro, nato a Palermo il 10.09.1959, ivi residente;
2. CONFALONE Giuseppe, nato a Palermo il 06.07.1970, ivi residente;
3. CONTORNO Giuseppe, nato a Palermo il 10.07.1948, ivi residente;
4. LO IACONO Salvatore, nato a Palermo il 28.05.1962, ivi residente;
5. MESSINA Gaetano, nato a Palermo il 10.07.1965, ivi residente;
6. PALUMBO Antonino, nato a Palermo il 07.05.1973, residente a Monreale (PA) ;
7. PRESTIGIACOMO Pasquale, nato Palermo il 08.07.1953, ivi residente;
8. TINNIRELLO Antonino, nato a Palermo il 12.10.1960 ivi residente;
9. TINNIRELLO Giuseppe, nato a Palermo il 13.04.1988, ivi residente;
10. URSO Giuseppe, nato a Palermo il 20.05.1959, ivi residente;
11. VERNENGO Cosimo, nato ad Avola (SR) il 12.12.1966, residente a Palermo;
12. GAMBINO Natale Giuseppe, nato a Palermo il 26.10.1958, ivi residente, in atto detenuto presso la Casa Circondariale di “Pasquale Mandato” Secondigliano – Napoli (NA);
13. GREGOLI Salvatore, nato a Palermo il 24.01.1958, ivi residente; in atto detenuto presso la Casa Circondariale di “Pagliarelli” – Palermo (PA);
14. PEDALINO Gabriele, nato a Palermo il 01.11.1996, ivi residente, in atto detenuto presso la Casa Circondariale di – Prato (PO);
15. PEDALINO Francesco, nato a Palermo il 07.04.1978, ivi residente, in atto detenuto presso la Casa Circondariale di – Terni (TR);
16. PROFETA Antonino, nato a Palermo il 19.09.1989, ivi residente, in atto detenuto presso la Casa Circondariale di “N.C.” – Voghera (PV);
17. PROFETA Salvatore, nato a Palermo il 04.09.1945, ivi residente in atto detenuto presso la Casa Circondariale di Tolmezzo (UD);
18. SCARANTINO Lorenzo, nato a Palermo il 17.11.1994, ivi residente, in atto detenuto presso la Casa Circondariale di “Pagliarelli” – Palermo;
19. BINARIO Salvatore, nato a Palermo il 02.07.1983, ivi residente;
20. FASCELLA Francesco, nato a Palermo il 06.10.1938, ivi residente;
21. GAMBINO Giuseppe, nato a Palermo il 29.06.1933, ivi residente;
22. ILARDI Antonino, nato a Palermo il 28.08.1942, ivi residente;
23. IMMESI Francesco, nato a Palermo il 03.09.1989, ivi residente;
24. LA MATTINA Antonino, nato a Palermo il 29.10.1992, ivi residente;
25. MONDINO Girolamo, nato a Palermo il 13.02.1934, ivi residente;
26. PIZZO Christian, nato a Palermo il 26.07.1993, ivi residente;
27. VERNENGO Cosimo, nato a Palermo il 21.02.1964 ivi residente, detenuto agli arresti domiciliari.

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