Cronaca

La chiesa di San Castrense ha di nuovo il suo tabernacolo

E’ stato ricollocato nella sua sede il tabernacolo ligneo e argenteo, opera di un ignoto maestro argentiere, che, nel 1746, fu commissionato dalle monache benedettine del monastero di San Castrense per la reposizione del SS Sacramento.

L’occasione ha raccolto Monsignor Michele Pennisi Arcivescovo di Monreale, il parroco don Antonio Crupi, il sindaco Piero Capizzi e il suo vicesindaco Giuseppe Cangemi, la direttrice del Museo Diocesano di Monreale Maria Concetta Di Natale, il restauratore Mauro Gelardi e Ciro Lomonte, presidente della scuola Magistri Maragmae e centinaia di persone che hanno partecipato interessati all’evento.

Tale opera fu dismessa nel 1961 per essere spostata e relegata, in seguito, nella casa canonica della chiesa. Oggi, grazie alla caparbietà di don Antonio Crupi dopo il suo insediamento nella parrocchia, l’opera è stata sottoposta, a partire dal 2015, ad un laborioso intervento di restauro, eseguito dall’argentiere Benito Gelardi e può tornare alla sua originaria funzione.

E’ stato un lavoro che ha coinvolto a più livelli i vari soggetti della comunità della parrocchia da sempre molto attiva e solerte, a don Antonio va scritto il merito di aver difeso la chiesa dalla spoliazione di questa opera che già nel 2011 veniva richiesta per essere incorporata nei beni del nostro Museo Diocesano.

Il Tabernacolo mostrava i segni e i danni provocati in parte dall’uso e in parte da una serie di riparazioni e maldestri interventi di consolidamento effettuati da operatori poco competenti: gli ancoraggi originali erano stati sostituiti con chiodi di ferro ed elementi inidonei; la struttura lignea era deteriorata, inoltre la superficie in argento era interessata da una discreta solfurazione e probabilmente da efflorescenze saline localizzate.

Dal momento che l’opera era interessata da vari e complessi fattori di degrado è stato necessario procedere a uno smontaggio integrale, per consentire la pulitura e il consolidamento sia delle parti metalliche che della struttura lignea. Le fratture della lamina sono state consolidate con saldature, le lacune presenti sono state integrate e la struttura lignea stata interessata da un processo di consolidamento utile al corretto assetto e funzionamento delle parti.

In tale occasione abbiamo apprezzato l’apertura di un piccolo dibattito sulle metodologie di intervento nel restauro, soprattutto per quanto concerne la necessità di avere operatori che siano anche artigiani memori e padroni delle antiche pratiche costruttive come pure sapienti nell’utilizzo delle nuove tecnologie.
Noi pensiamo che, nel caso di opere come queste, il criterio da adottare sia unico e cioè bisogna sempre cercare di portarle allo stato di funzionalizzazione e contestualizzazione originaria reintegrandole nel contesto per le quali furono progettate.

I vari soggetti che partecipano al processo decisionale devono avere sempre chiara l’importanza dei “valutazione del patrimonio” ove questo significa che il “bene di un opera” sia l’esaltazione della sua bellezza proprio nell’incastonamento di progetto che funziona come parte singola ma soltanto se perfettamente dialogante con il tutto. Altrimenti si incorre nel rischio di perdere il significato delle opere e di farle divenire mute testimonianze di “un culto che fu”, all’interno di ingessati musei sempre più ricchi, ma costantemente freddi apatici e fulgidi contenitori semideserti.

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