Terrorismo, torna in carcere la ricercatrice libica fermata all’Università

Redazione

Palermo

Terrorismo, torna in carcere la ricercatrice libica fermata all’Università
Era stata fermata lo scorso dicembre dalla Digos. L’arresto è scattato a conclusione del complesso iter giudiziario, con la conferma della Corte di Cassazione del provvedimento del Tribunale del Riesame

29 Giugno 2016 - 12:39

La Polizia di Stato ieri pomeriggio ha eseguito la misura della custodia cautelare in carcere a carico di Khadiga Shabbi. Si aprono dunque le porte del carcere Pagliarelli per la ricercatrice libica fermata a dicembre con l’accusa di istigazione a delinquere in materia di reati di terrorismo (leggi qui e anche qui). La Corte di Cassazione ha confermato la decisione del tribunale del Riesame.

Il gip aveva rigettato la richiesta di carcere della Procura, disponendo l’obbligo di dimora. Contro il provvedimento aveva fatto appello la Procura, ma contro la decisione del tribunale del riesame, che accoglieva la tesi del pubblico ministero, aveva fatto ricorso in Cassazione la difesa. Un lungo braccio di ferro, che si è concluso adesso con il via libera all’arresto, eseguito dagli agenti della Digos.

La Shabbi, 45 anni, è accusata di aver intrattenuto rapporti con organizzazioni integraliste, fatto loro propaganda, ricevuto materiale fotografico e video. La donna avrebbe anche tentato di far arrivare in Italia un familiare, poi morto durante gli scontri nella guerra civile libica. Nel pc dell’indagata sono state rinvenute una serie di immagini inneggianti alla jihad, la riproduzione di una sorta di proclama della guerra santa, guerriglieri islamici davanti a corpi ammassati in una fossa comune, il pavimento insanguinato di una stanza e la foto di un bambini kamikaze. Materiale che sarebbe stato inviato ad alcuni amici, tra cui dei militanti dell’organizzazione Ansar Al Sharia Libya, bandita dalla Nazioni Unite.

Gli inquirenti hanno ricostruito anche la sua rete di contatti in città. Per questo 5 suoi conoscenti – un cittadino tunisino, un marocchino, due libici e una palestinese anche lei impegnata nello svolgimento di una borsa di studio all’ateneo del capoluogo dell’Isola – si erano visti portare via dalla Digos computer, telefonini e pendrive.

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