Slow Food sugli incendi: “Una tragedia, ora la tutela dell’ambiente”

500 incendi hanno devastato la Sicilia nella giornata di ieri. Un forte vento di scirocco e un caldo torrido hanno favorito il propagarsi di centinaia di focolai scoppiati contemporaneamente in posti diversi e anche lontani tra loro. Palermo, Trapani e Agrigento sono le province più colpite, in particolare l’area compresa lungo il canalone che dal comune di Collesano arriva a Lascari e prosegue verso la città di Cefalù.

Oggi la situazione sembra essere sotto controllo e, mentre si contano i danni, la certezza della mano dell’uomo è sempre più evidente. Troppi i roghi, troppo favorevole la situazione in cui sono scoppiati (vento e alte temperature), contro natura l’autocombustione (il vento soffia ma non accende, si dice) per non far pensare che dietro ci siano interessi criminali e per questo la prefettura di Palermo e il ministro Alfano hanno istituito un’unità di crisi.

Oltre a case, strutture ricettive, spazi pubblici, ieri è bruciata anche una biodiversità unica al mondo. Una tra le zone più colpite fa parte del Parco delle Madonie (si pensi che circa il 21,2% del territorio siciliano è protetto attraverso siti di interesse comunitario, parchi, riserve naturali e marine), dove sono presenti circa 2.600 specie vegetali, oltre la metà delle specie vegetali siciliane, di cui alcune rarissime ed esclusive (come l’abete delle Madonie, di cui restano 30 esemplari). E ancora uliveti, boschi di querce da sughero, roverella e faggi resi impenetrabili da un’estesa macchia di erica.

“È una tragedia – racconta al telefono Carmelo Giunta, fiduciario della condotta delle Alte Madonie -. Gli incendi hanno devastato una vastissima area delle basse Madonie fino a Monreale e, il forte vento non ha permesso di intervenire con i canadair, aumentando così i danni. Intere aree agricole sono andate perse, soprattutto nella zona di Collesano dove sono presenti molti allevamenti. Il cuore del parco, fortunatamente, è salvo ma la zona costiera, con le sue pinete e la macchia mediterranea, è in ginocchio. Voglio fare un appello: dobbiamo salvare l’ambiente, dobbiamo prendercene cura, dobbiamo tutelare la nostra biodiversità. Dobbiamo agire per salvaguardare questo bene immenso – ma unico – che abbiamo”.

Nel territorio delle Madonie si trovano 15 comuni la cui risorsa principale è l’agricoltura: si coltivano ancora antiche varietà di frumento (timilìa, russello, perciasacchi), antiche varietà di frutta e legumi (come il fagiolo badda), si allevano brade vacche e greggi ovine. E si tutelano patrimoni agroalimentari unici al mondo, alcuni dei quali Preside Slow Foddo (la manna, le produzioni casearie, tra cui provole, pecorini canestrati, i pani, i dolci come lo sfoglio di Polizzi, la frutta, come le albicocche e le arance, il miele di ape sicula, …).

Mentre i boschi di frassino da cui si estrae la manna e gli alberi di calbicocche sono stati risparmiati, i produttori di provola e gli apicoltori oggi contano i danni. Sandra Invidiata, produttrice di provola delle Madonie, è stata una delle più colpite. Dal 1995 alleva vacche da latte in una vecchia proprietà di famiglia di circa 50 ettari sui monti di Collesano. Qui ha un caseificio, una fattoria didattica e un piccolo agriturismo.

“A Collesano l’incendio è iniziato nella notte di mercoledì quando è bruciata la pineta comunale a ridosso del paese – dice Sandra – Fino alla sera del giovedì, però, la situazione sembrava sotto controllo. Poi il vento è cambiato e, a un tratto, è stato l’inferno. È andato a fuoco il fienile, il carro miscelatore è esploso, il trattore gommato è bruciato così come una tettoia e tutto il fieno. Avevamo appena raccolto oltre 200 balle, era tutta l’alimentazione per i nostri animali. Siamo riusciti a mettere in salvo la maggioranza di vitelli e tutte le vacche, lasciandoli liberi. Ne abbiamo persi solo quattro. Qui adesso manca tutto: acqua, luce, è caduto il palo del telefono. Però non manca la solidarietà: due allevatori mi hanno portato fieno per i miei animali perché io non ho nemmeno più un filo d’erba; altri tre allevatori hanno portato cisterne di acqua. E poi sono arrivati tanti ragazzi dell’area, anche giovanissimi. Non li conosco nemmeno, molti di loro non so chi siano, ma sono tornati a darci una mano. Importante vedere la solidarietà dei giovani”.

“La situazione è grave – conferma Mario Cirrito, uno degli apicoltori di ape nera sicula, razza autoctona a rischio di estinzione -. A oggi, nella zona di Lascari, ho perso sei postazioni con 50 arnie ciascuna e due melari. Devo capire ancora la situazione delle arnie che ho a Collesano. Vista la vastità dell’area colpita, i soccorsi – che non erano pronti alla portata degli incendi – hanno raggiunto prima i centri abitati per cui noi abbiamo fatto tutto da soli, insieme ai miei fratelli e ai nostri operai. Ora abbiamo perso la produzione. Già quest’anno abbiamo avuto problemi con le fioriture di zagara e sulla per gli sbalzi di temperatura violenti (dal caldo al freddo in poco tempo), le piogge e la grandine e il forte vento di scirocco. Ora era il tempo del millefiori e del cardo e abbiamo perso tutto. Cosa possiamo fare? Hanno messo in ginocchio un territorio sia dal punto di vista agricolo sia dal punto di vista turistico”.

Anche l’apicoltore Carlo Amodeo ha perso circa 20 arnie. “Non si tratta solo della perdita di api, che di per sé è già gravissima. Questi incendi hanno distrutto tutta la flora, le piante arbustive ed gli arbusti che impiegheranno moltissimo tempo prima di ricrescere. È una devastazione ambientale a tutti gli effetti e il danno è sì, ora, contingente ma ne pagheremo gli effetti in futuro: abbiamo perso animali, insetti, erbe, piante, e anche terreni e tutta la loro micro—fauna. Noi siamo vivi, possiamo ricostruire. Ma l’ambiente?”.

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