Il rimpasto della Giunta, tutto cambia perché nulla cambi

La crisi attuale che si consuma all’interno del partito di maggioranza monrealese e poi anche nella compagine che ha visto Piero Capizzi vincitore delle elezioni, dimostra come si sia avviato un processo di snaturamento dei meccanismi politici, per fare spazio a possibili derive che potrebbero ingenerare personalismi e individualismi sempre più spinti. Insomma c’è la possibilità di lasciare campo alla infiltrazione di eventuali poteri accentratori.

Lo stallo in cui versa questa politica, le istituzioni, il diritto e forse anche la democrazia fanno emergere una articolazione della nozione stessa di cittadinanza che di fondo pare sia sempre più fraintesa.

Neppure la società civile sembra riuscire a riconquistare i propri ambiti di lavoro, perché pare abbia perso il senso di sé, del suo identificarsi in una comunità politica. Vi sono barlumi di vigore quando tentano di inserirsi i piccoli movimenti come Acm (associazione commercianti monrealesi), ma che oggettivamente hanno un piglio indeterminato venati da una debole strategia politico/contrattuale e programmaticamente (ancora) poco chiari.

Il consiglio comunale è in preda ad una malattia che affligge la maggior parte dei suoi protagonisti che si trasformano in atteggiamenti ormai molto definiti non appena occupano quegli scranni. Alcuni sono smaccatamente sopra le righe, al limite della provocazione, altri formalmente ridondanti, oppure chiusi e alteri dentro il loro gioco delle parti che li vede l’uno contro l’altro spesso dimentichi del ruolo pubblico.

Tutto il chiacchiericcio in merito ai presunti avvicendamenti in campo lascia al contrario trasparire la volontà assoluta di non cambiare nulla. Condito dalla voglia di constatare che “alla fine della fiera è meglio non stravolgere gli equilibri in essere” per lasciare soddisfatti un po’ tutti. Sono stati citati una schiera di personaggi del panorama politico locale, ma probabilmente solo ad uso e consumo di una polemica gratuita e tesa a gettare polverone su una crisi identitaria e di riconoscibilità interna. Questo è il segno della passività più becera che prende il sopravvento, non tanto perché fosse necessario un semplice cambio di persone, quanto semmai dell’introduzione un vero e proprio Nuovo Sistema di Lavoro, fino ad oggi poco valido poiché ricalca stili obsoleti e incapaci di generare valido e sostanziale cambiamento.

Così facendo i partiti sono portati alla passività, non forniscono indirizzi validi e tangibili, ma seguono piuttosto le pulsioni e gli egoismi diffusi, un po’ causticamente potrebbe dirsi: “una politica vuota a fronte di una società vuota”.

Si legge la volontà di una leadership poco orientata al cambiamento positivo e sostanziale, che getta tutto il sistema politico in una sconfortante autoreferenzialità impedendo la rigenerazione autopoietica e centrifuga. Di contro molti soggetti (piccole schegge partigiane) non sono capaci di confrontarsi dialetticamente e con assoluta trasparenza con gli amici di partito e con i nemici al governo della città.

Saranno queste frasi da fantapolitica, ma la FantaGente è stufa di immaginare (e non poter vivere) una città che funzioni in cui i furbi non pagano le tasse e i servizi non possano mai partire.

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