La Sicilia "regina" degli abusi edilizi

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La Sicilia "regina" degli abusi edilizi
Il report di Legambiente: "Solo nel 2013, 476 illeciti, 725 persone denunciate e 286 sequestri"

18 Gennaio 2016 - 00:00

L’abusivismo edilizio rappresenta un’autentica piaga nazionale; prospera indisturbato da decenni e non conosce crisi, nutrendosi di alibi e giustificazioni. Abbiamo occupato le coste, i letti dei fiumi, i pendii delle montagne, senza pensare, non solo al danno paesaggistico, ma nemmeno al pericolo di realizzare case, terrazze, alberghi, scuole, uffici in aree dove non si dovrebbe nemmeno piantare una tenda da campeggio. E se il 2013 è stato un anno ricco di demolizioni – anche molto importanti come gli scheletri di Lido Rossello e di  Scala dei turchi sulla costa agrigentina ad esempio, rimossi dopo vent’anni di battaglie legali – è stato anche un anno denso di tentativi per approvare in Parlamento un nuovo condono mascherato sotto le forme più diverse. Tra emendamenti e disegni di legge, Legambiente ne ha contati cinque. Ben 22 dal gennaio del 2010, tutti rispediti al mittente, anche grazie all’attiva opposizione dell’associazione. Ma l’ultimo, il ddl Falanga è passato un mese fa al Senato con 189 sì, 61 no e 7 astenuti. Di condoni, norme “blocca ruspe”, vecchio e nuovo cemento illegale si è parlato oggi a Roma all’incontro organizzato da Legambiente Abusivismo edilizio: l’Italia frana, il Parlamento condona, in cui è emerso che è la Sicilia a guidare la classifica 2013 dell’abusivismo edilizio nelle aree demaniali costiere, con 476 illeciti, 725 persone denunciate e 286 sequestri. Nella regione, ci sono sempre state enormi difficoltà ad applicare la legge che prevede l’acquisizione e la successiva demolizione degli immobili: sono ancora in piedi le circa 5 mila case costruite sulla spiagge di Castelvetrano-Selinunte e di Campobello di Mazara (solo una piccola parte delle circa 50 mila stimate su tutte le coste siciliane), le 560 case nella zona di massima tutela della Valle dei Templi, le oltre 400 della Riserva della Foce del Simeto a Catania, i circa 360 immobili di Pizzo Sella, la famigerata “collina del disonore” a Palermo, di cui 300 sono scheletri. Accanto alle promesse di sanatoria, il nuovo cemento illegale può contare su un altro “incentivo” micidiale: la quasi matematica certezza che l’immobile abusivo non verrà abbattuto. Il rapporto tra ordinanze ed esecuzioni è bassissimo: le demolizioni superano di poco il 10%. L’attivismo di alcune Procure siciliane che hanno diffidato nell’ultimo anno e mezzo le  amministrazioni comunali perché applicassero la legge, con l’acquisizione e la  demolizione degli abusi non sanati, ha prodotto il disorientamento e la resistenza di chi aveva trovato finora tutti gli alibi possibili per evitare un atto obbligatorio ma che veniva considerato impopolare. “Da qualche mese a questa parte – dice Mimmo Fontana, presidente regionale di Legambiente Sicilia – si sono potuti apprezzare i primi positivi effetti con demolizioni importanti come quella di Scala dei Turchi, ma non sono mancate reazioni di senso contrario”. E nel controverso contesto, si è inserita anche la riapertura del dibattito circa l’ammissibilità all’ultimo condono degli immobili ricadenti in aree di “vincolo relativo” a seguito di un parere del CGA. “Si tratta di una circostanza che desta molte perplessità, ma soprattutto una domanda. Come mai questa lettura secondo la quale il recepimento della sanatoria edilizia 2003 sarebbe avvenuto solo parzialmente – escludendo i limiti imposti dalla norma nazionale – arriva a ben undici anni di distanza dall’approvazione della norma? Eppure sono stati anni in cui il contenzioso sul tema è stato sostenuto: più regioni hanno adito la Corte Costituzionale e anche in Sicilia non sono certamente mancati i ricorsi degli abusivi che si vedevano rigettate le istanze di sanatoria ai sensi del comma 27 dell’art.32 della L.326/2003 che li escludeva esplicitamente”. Il fatto che l’interpretazione più restrittiva della norma abbia retto a qualunque verifica, ha provocato in questi anni i reiterati tentativi di riaprire il condono motivati dall’asserzione che escludere gli abusivi che ricadevano in zone di “vincolo relativo” fosse discriminatorio rispetto agli altri abusivi.  Ma il rafforzarsi di una giurisprudenza  che ha ribadito sempre più decisamente il dettato dell’art.9 della Costituzione che impone a tutti gli organi dello stato la tutela del paesaggio e del patrimonio storico e artistico della Nazione, ha evitato la maggior parte degli abusi. “Ed è proprio a partire dall’elusione di questo principio fondamentale della Costituzione che non appare condivisibile il parere del CGA. Non minori dubbi suscita il mancato riconoscimento della L.326/2003 quale legge di grande riforma economico sociale, ma soprattutto la constatazione che la diversa interpretazione andrebbe a incidere sulla punibilità penale del reato. Ci si potrebbe trovare nella paradossale situazione di un immobile sanato in via amministrativa per cui, però, la demolizione verrebbe imposta ugualmente da una sentenza penale di condanna. Per questi e per altri profili – conclude Fontana – ma soprattutto in forza di una giurisprudenza della  Consulta, della Cassazione Penale e del Consiglio di Stato, di segno opposto rispetto alle conclusioni a cui perviene il CGA, impugneremo in ogni sede qualunque atto dovesse maturare in coerenza con il parere del Consiglio”. 

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