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ESCLUSIVA – Parla il generale Bruno Loi: “Io, Palermo e Monreale”

Pubblichiamo un’intervista esclusiva al generale Bruno Loi, tenente colonnello che ha comandato il battaglione paracadutisti della brigata “Folgore”, ma soprattutto protagonista della missione di pace in Libano. Nel 1991 venne promosso generale e destinato, l’anno successivo al comando del contingente italiano nell’operazione in Somalia. Dopo aver comandato l’accademia militare di Modena, ha assunto il comando della regione militare autonoma della Sicilia. Un’esperienza che gli ha cambiato la vita ed a cui è ancora oggi legato. Non solo per motivi professionali, ma per vari affetti incontrati e mai persi in quegli anni. Ecco il suo racconto. Ci dica generale, com’è stato arrivare in Sicilia? “Ho assunto la responsabilità del Comando Militare Autonomo della Sicilia il 15 gennaio del 1999. Era il momento storico delle grandi trasformazioni dell’Esercito: passaggio dalla leva al volontariato, separazione delle funzioni operative da quelle territoriali, ricorso all’outsourcing per le esigenze logistiche e, all’orizzonte, l’ingresso delle donne nelle Forze Armate. Per la Regione Militare della Sicilia, in particolare, era in corso, già dall’1 luglio 1998, la trasformazione in Comando Militare Autonomo della Sicilia. Dunque, un momento particolarmente delicato sia sul piano tecnico-operativo, per le notevoli varianti alla struttura ordinativa, alle dipendenze, ai compiti, sia sul piano psicologico, per la sensazione diffusa tra il personale di un vero e proprio declassamento e, soprattutto, per il timore di tagli alle piante organiche e conseguente rischio di trasferimenti di sede. In tale situazione è stato necessario fare appello a tutta la mia vis suadendi per far capire bene e accettare la ratio dei cambiamenti che stavano interessando tutti i settori dell’Esercito, presentando adeguatamente il nuovo assetto e i nuovi compiti stabiliti dallo Stato Maggiore per la Sicilia e, soprattutto, coinvolgendo tutti, ai vari livelli di responsabilità, nel lavoro concettuale e organizzativo per perseguire gli scopi fissati. Avevo puntato sull’orgoglio e il senso della responsabilità di ciascuno. Dopo alcune settimane dal mio insediamento, erano già evidenti i segni del netto miglioramento del morale generale e il rapido adattamento di tutti alla nuova realtà. Provai vivissima soddisfazione nel prendere atto della grande capacità di reazione positiva alla difficile situazione dimostrata dal personale militare e civile alle mie dipendenze. E, incoraggiato da questo successo iniziale, potevo intraprendere con fiducia e serenità il non facile lavoro di riqualificazione e di riordinamento dell’Ente. Questa è stata la prima e, forse, la più grande delle molte soddisfazioni professionali e umane che mi avrebbe concesso il periodo del mio comando in Sicilia, conclusosi il 4 settembre 2001”. Lei fu uno dei protagonisti “dell’apertura delle caserme alla popolazione civile. Quali delle manifestazioni ricorda di più? “Le Forze Armate, già da tempo avevano capito l’importanza dell’integrazione con la popolazione civile e avevano dato corso a varie iniziative specifiche. Personalmente, ero e sono profondamente convinto che il migliore approccio per stimolare l’interesse della comunità civile per i suoi militari fosse quello di proporre attività socio-culturali comuni (cerimonie aperte al pubblico, conferenze, incontri culturali, mostre d’arte, attività sportive, sobrie riunioni sociali,….), da svolgere nelle caserme e/o in ambiti militari. Potrei fare un lungo elenco degli eventi di questo tipo che hanno coinvolto la popolazione palermitana: dalla traslazione per le vie cittadine in Cattedrale delle ceneri dei Caduti in Russia restituite ai familiari, alle edizioni annuali della “Palermo di corsa con l’Esercito”, all’apertura delle caserme alla popolazione in occasione della “Giornata dell’Unità Nazionale e Festa delle Forze Armate”, alle molteplici mostre e conferenze, agli innumerevoli concorsi in personale e mezzi forniti alle varie iniziative della Città. Ma di tre eventi, in particolare, serbo un ricordo piacevole: la mostra “Federico II – Stupor mundi”, del Maestro Pippo Madè, poliedrico artista della pittura e scultura su ceramica, vetro, argento e pietra lavica, allestita nella caserma di Palazzo Sclafani, aperto per la prima volta al pubblico accorso in gran numero all’inaugurazione e nei successivi trenta giorni in cui si svolsero alcuni  incontri con l’artista e una tavola rotonda. Fu un successo straordinario di pubblico e di critica; la brillante conferenza del professore Adelfio Elio Cardinale, insigne clinico e docente universitario, sulla ricognizione del feretro di Federico II, alla quale aveva partecipato personalmente in qualità di perito radiologo. Un folto pubblico civile e militare, convenuto a Palazzo Sclafani, potè attingere dalla viva voce di un protagonista di primo piano, dotato per giunta di grande capacità comunicativa, le emozioni della rivisitazione dei resti del grande personaggio della storia medievale che tanto aveva amato la Sicilia; l’incontro di studio, tra una ventina di allievi delle Accademie Militari di Esercito, Marina e Aeronautica e altrettanti studenti di scienze politiche dell’Università di Palermo, sul tema “Il Mediterraneo: area di crisi ricorrenti. Quale ruolo per la Sicilia?”. L’attività, svolta nell’arco di tre giorni da cinque gruppi di lavoro misti, permise ai giovani universitari palermitani di confrontarsi con altrettanti cadetti su un tema di comune interesse svolto con approccio intellettuale e metodo differenti. Si ottennero risultati eccellenti, sul piano dei contenuti scientifico-culturali delle relazioni finali, ma, soprattutto, i partecipanti dimostrarono un interesse straordinario proprio nel confrontarsi sulle rispettive idee e metodologie di studio”. Il suo ricordo della Sicilia e di Palermo in particolare? “Prima del mio arrivo al Comando Militare Autonomo, avevo avuto modo di conoscere da vicino la Sicilia e i Siciliani durante l’anno  trascorso al comando del Distretto di Palermo (1986 – 1987). Erano tempi bui. Palermo, a meno della zona più moderna di Via della Libertà, si presentava fatiscente ed in rovina con ancora evidenti le ferite dei bombardamenti e con le auto della polizia che vi sfrecciavano in continuazione a sirene spiegate. Sembrava una città in stato di assedio. Confesso di aver faticato non poco per superare tutti i pregiudizi di cui ero portatore, come la gran parte del popolo italiano che non è mai stata in Sicilia. Cionondimeno, sia io sia mia moglie (con sangue siculo nelle vene da parte del padre), riuscimmo a percepire, oltre l’ineguagliabile bellezza del paesaggio e la ricchezza della storia e della cultura siciliana, le belle qualità umane di fondo della popolazione, attaccatissima alla famiglia e alla terra dei Padri e con il culto quasi religioso dell’ospitalità e dell’amicizia. Tornavo a Palermo nel luglio 1992, qualche giorno dopo l’uccisione del giudice Borsellino e della sua scorta, al comando di un contingente di 900 uomini della “Folgore”, nel quadro dell’operazione “Vespri siciliani”. Rimasi molto ben impressionato dall’accoglienza amichevole della gente che, pur sottoposta al disagio dell’ingombrante presenza militare nelle strade e nei condomini, fin dal primo momento ha collaborato con i paracadutisti con totale disponibilità, rispetto, fiducia e ottima disposizione d’animo. Fu, per i militari, un’esperienza estremamente appagante sia sul piano professionale sia su quello umano e credo che abbia lasciato un grato ricordo anche nella popolazione civile. Infine, nel 1999, rieccomi a Palermo, quale responsabile del Comando Militare Autonomo della Sicilia. Trovai una Città rivitalizzata: la gente affollava strade, i ristoranti, i teatri, i ritrovi mondani; ingorghi del traffico nel centro cittadino, pieno di vita alle due di notte; decine di cantieri aperti e attivi in tutta la città; proposte culturali e artistiche di ogni genere. Insomma, si respirava nell’aria una gran voglia di vivere e, soprattutto, si percepiva la determinazione a combattere il cancro della mafia che, mi piace pensarlo e crederlo, la presenza ininterrotta per ben sei anni dei militari dei “Vespri siciliani” aveva contribuito in non piccola misura a consolidare nell’animo della gente. E per me e mia moglie fu amore senza condizioni per questa terra benedetta da Dio e la sua metropoli, dove abbiamo conosciuto tante persone eccezionali con le quali abbiamo stretto bellissime relazioni di amicizia e dove, ogni volta che è possibile, torniamo con tanta gioia e tanta nostalgia per quei due anni e mezzo in cui siamo stati palermitani”. Sappiamo che spesso ha visitato Monreale. Che ricordi ha della città normanna e della sua gente? “Monreale era la meta obbligata e preferita di ogni visita ufficiale o privata che approdava a Palermo. Ho calcolato di esserci stato almeno cinquanta volte. Ed ogni volta che si entrava al Duomo, era per me motivo di orgoglio, leggere sui volti degli ospiti lo stupore e la meraviglia di fronte allo splendore dei mosaici. Come se il Duomo fosse mio. A Monreale, inoltre, ho avuto l’occasione di conoscere e frequentare due cittadini di riguardo: Elisa Messina, un’affermata artista della ceramica, oggi non più tra noi, e Rosario Lo Cicero, figlio del bravissimo artista poliedrico Pippo Madè, mio carissimo, fraterno amico, del quale è anche curatore degli aspetti organizzativi ed esecutivi delle attività espositive e di presentazione. Nei confronti dei due eminenti esponenti della cultura ho nutrito grande ammirazione e sincera amicizia e dichiaro, senza tema di smentita, che fanno onore alla bella Città normanna”.

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