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Mafia, nove arresti a Palermo: un avvocato gestiva gli affari dei boss

Professionisti dalla fedina penale candida gestivano gli affari per conto dei boss, operazioni finanziarie a molti zeri che consentivano alle “famiglie” di aggirare i controlli delle forze dell’ordine e le misure patrimoniali. Dalla vendita di trenta box – seguita dal noto avvocato civilista Marcello Marcatajo – i boss hanno ricavato circa 250 mila euro, in parte “reinvestiti” per compare l’esplosivo per uccidere il giudice Di Matteo. E la mafia, sotto il volto pulito del legale, aveva anche realizzato due villette a Mondello promesse in vendita all’ex presidente dell’Ars Francesco Cascio e a Massimo Sanfelice, dirigente di un’azienda farmaceutica (citati solo come acquirenti ed estranei alla condotta illecita ndr).

Sono alcuni dei retroscena dell’operazione “Cicero” condotta dai militari del nucleo speciale polizia valutaria della guardia di finanza. In manette lo stesso Marcello Marcatajo, 69 anni, e altre otto persone. L’inchiesta è coordinata da procuratore capo Francesco Lo Voi, dall’aggiunto Vittorio Teresi e dai sostituti Francesco Del Bene, Amelia Luise, Annamaria Picozzi e Roberto Tartaglia.

I NOMI DEGLI ARRESTATI – Oltre all’avvocato Marcatajo sono finiti in manette anche: Francesco Cuccio (ingegnere), Angelo e Francesco Graziano, figli di Vincenzo, al quale è stato notificato il provvedimento in carcere. Ai domiciliari anche Maria Virginia Inserillo, moglie di Francesco Graziano; Giuseppe Messeri e Ignazio Misseri, padre e figlio (il cognome diverso è dovuto da un errore all’anagrafe al momento della registrazione). Gli indagati sono accusati, a vario titolo, di associazione mafiosa, intestazione fittizia di beni, riciclaggio e reimpiego di capitali illeciti, con l’aggravante di aver agevolato Cosa nostra.

LA PALERMO “BENE” CHE COLLABORA CON I BOSS – “La forza militare della mafia – sottolinea il procuratore Vittorio Teresi – forse, si è un po’ indebolita, ma certamente il piano economico-finanziario-politico è attivo ed estremamente pericoloso, perché continua a rafforzare ogni giorno quella mafia che noi cerchiamo di distruggere tutti i giorni”. “Tutti coloro che si accostano alla mafia da un mondo esterno, come i professionisti o i politici, hanno una grave, enorme responsabilità morale. Secondo me devono rispondere di tutto ciò che la mafia, con il loro apporto, riesce a fare”. Quanto emerso dalle indagini, secondo Teresi, è uno “spaccato di scuola della ‘palude’ delle professioni al servizio della mafia”. “L’avvocato Marcatajo – spiega – con un trascorso di professore universitario e noto legale civilista si presta consapevolmente al servizio di Cosa nostra. Lo dice lui stesso nelle intercettazioni. Siamo all’inizio degli anni 2000 e faceva da ‘salvadanaio’ e ‘consulente economico-finanziario’ dei Graziano e dei Galatolo”.

“La presenza attiva dei professionisti – sottolinea Giuseppe Bottillo, a capo del nucleo di polizia valutaria – è evidente e lascia trasparire che non è casuale. I professionisti non sono solamente prestanomi. Marcatajo sceglie di fare del male, di appartenere a questo sodalizio. Architetta modi e società per fare girare i capitali dei boss. Appartenendo alla ‘Palermo bene’ si avvale del suo status anche per avere incarichi ‘utili’ come quello di curatore fallimentare”

UN LAVORO CON I BOSS FRUTTA PIU’ DEL POSTO FISSO – L’indagine “Cicero” ruota attorno alla figura dell’avvocato Maracatajo. Secondo quanto reso noto dagli inquirenti è lui stesso a spiegare, in un’intercettazione, di avere fatto una “scelta di campo”. “Vincitore di concorso all’Enel – ricostruisce il colonnello della finanza Ugo Poggi – segue per la società diverse cause e le vince. Tanto da ricevere la proposta di avanzamenti di carriera. Questo però avrebbe comportato il trasferimento in altre città, così l’avvocato rifiuta. All’ennesimo ‘no’ la società impone il trasferimento a Roma. Lo stesso Marcatajo dirà: ‘Non vale la pena fare il pendolare quando allo studio vicino casa posso fare più soldi’. Così lascia l’Enel e si avvicina alla famiglia mafiosa dei Graziano”.

LE INDAGINI – Il nome dell’avvocato Marcatajo compare in un “pizzino” sequestrato nell’ambito dell’operazione antimafia “Apocalisse”. Da lì, la decisione di piazzare le microspie nello studio del legale. FondamentalI per le indagini sono però state le parole di Vito Galatolo, boss dell’Acquasanta prima e collaboratore di giustizia poi. Galatolo ha di fatto fornito puntuali riscontri a quando emerso dalle indagini ricostrundo gli affari della famiglia.

INVESTIMENTI NEL “MATTONE” E TRITOLO – Dall’inchiesta è emerso che Marcatajo, attraverso la società immobiliare Igm Srl, gestiva gli affari immobiliari del clan. Da lui, all’epoca insospettabile professionista, l’ex presidente dell’Ars Francesco Cascio ha acquistato una villetta che ora è finita sotto sequestro. Si tratta di una bifamiliare in via Miseno, a pochi passi da viale Galatea.

Cosa nostra aveva anche messo gli occhi, secondo quanto emerso dalle indagini, in un’operazione immobiliare a Marino (in provincia di Roma). “Per la quale – spiega la finanza – con i noti metodi, i Graziano hanno indotto altri imprenditori edili a rinunaciare all’appalto”.

L’ultima operazione dell’avvocato Marcello Marcatajo per conto dei boss sarebbe stata la vendita di 30 box in via padre Marcello Corradini. Si tratta di un affare da 250 mila euro circa. Parte del denaro sarebbe stato utilizzato per compare l’esplosivo da usare per uccidere il giudice Di Matteo. E’ stato lo stesso Galatolo, nei mesi scorsi, a chiarire la provenienza del denaro utilizzato per l’acquisto dell’esplosivo, che però non è stato mai ritrovato.

SCATOLE CINESI PER COPRIRE IL GIRO DI AFFARI – “Le investigazioni che abbiamo compiuto – sottolinea Calogero Scibetta, comandante del IV gruppo polizia tributaria della guardia di finanza – dimostrano che dagli anni ’90 i soldi della mafia vengno gestiti con il mezzo del ‘conto corrente interno’. Graziano dice al professionista: ‘Questi sono i miei soldi, tienili tu. Gestiscili, fai investimenti e fammi sapere quanti soldi ho'”. “Di fatto – aggiunge – i Graziano dal 2008 non hanno beni intestati direttamente. A fronte di contratti di vendita perfettamente in regola, ci sono assegni che non passano dalle banche. Il denaro non proviene da chi compra, ma da altri conti o dal denaro dei fallimenti curati da Maracatajo”. Dalle indagini emerge anche un’evoluzione nel rapporto tra Graziano e Marcatajo: inizia intestandosi direttamente i beni e finisce con il creare società ad hoc”.

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