Il fratello di Massimo Pirozzo: “Chi ha ucciso Taormina è figlio dello stesso silenzio”

Redazione

Cronaca - L'intervista

Il fratello di Massimo Pirozzo: “Chi ha ucciso Taormina è figlio dello stesso silenzio”
"A Palermo non è cambiato nulla - denuncia Marco - Oltre a chi ha premuto il grilletto, ci sono responsabilità che pesano anche sulle istituzioni"

14 Ottobre 2025 - 09:53

La notizia della morte di Paolo Taormina ha riaperto una ferita mai rimarginata per Marco Pirozzo, 33 anni, fratello di Massimo, una delle vittime della strage di Monreale del 27 aprile. “Ho rivisto la stessa tragedia di mio fratello”, racconta al Giornale di Sicilia. Allora, a perdere la vita furono tre giovani: Massimo Pirozzo, 26 anni, Andrea Miceli, coetaneo, e Salvatore Turdo, 23 anni. Per quel massacro sono in carcere tre ragazzi appena maggiorenni: Salvatore Calvaruso, 18 anni, e i diciannovenni Mattias Conti e Samuel Acquisto. “A Palermo non è cambiato nulla – denuncia Marco – Oltre a chi ha premuto il grilletto, ci sono responsabilità che pesano anche sulle istituzioni. La politica e le forze dell’ordine hanno ignorato il problema. È doloroso dirlo, ma stiamo rivivendo sempre lo stesso incubo”.

Durante la manifestazione in memoria delle vittime, la sua famiglia ha esposto un cartello con i volti di tanti giovani uccisi nello stesso modo, spesso provenienti dallo stesso quartiere. Quel quartiere è lo Zen, simbolo di degrado e criminalità. “Chi spara viene sempre da lì e agisce per motivi futili, senza alcun rispetto per la vita – afferma Pirozzo – È accaduto a Paolo come era accaduto a mio fratello. E poi si vantano sui social, su TikTok, come se fosse un trofeo. Hanno perso ogni senso morale”.

Nonostante tutto, Marco non si rassegna: “Bisogna cambiare le leggi. Chi uccide deve scontare l’ergastolo senza riduzioni di pena. Oggi a vivere nel terrore siamo noi, le persone perbene. Dovrebbero essere loro ad avere paura”. L’uomo si dice anche indignato per le immagini della figlia di Maranzano, il ventottenne accusato dell’omicidio, ritratta con un ciondolo a forma di pistola. “È una vergogna – commenta – In Germania, dove ho vissuto, i servizi sociali interverrebbero subito togliendo la patria potestà. Qui invece si ha paura, anche tra le forze dell’ordine”. Secondo Pirozzo, la soluzione passa per una vera rigenerazione urbana e sociale: “Bisogna fare come a Scampia: demolire, dividere, reintegrare. Lo Zen è diventato un ghetto con regole proprie e una morale distorta. Finché si chiuderanno gli occhi, non cambierà nulla”.

Il problema, osserva, non riguarda solo Palermo: “Anche in altre città succedono cose simili, ma lì si interviene. Da noi manca la reazione. Lo Zen è ormai il simbolo di una Sicilia dove tutto è permesso”. Marco si rivolge infine al sindaco Lagalla: “Mia madre gli ha parlato, ma le responsabilità restano. Dopo l’omicidio, i locali della movida dovevano restare chiusi almeno un giorno. Invece, il giorno dopo, tutto era come prima”. E conclude con un appello: “Serve una presenza costante delle forze dell’ordine. Solo così qualcuno ci penserà due volte prima di sparare. Si parla di armi allo Zen, ma restano solo parole. Dai politici arrivano promesse e parole di conforto, ma poi tutto finisce nel silenzio”. (Nella foto Marco e Massimo Pirozzo)

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