Se si potesse scattare una fotografia a raggi X dell’economia sommersa italiana alla fine del vecchio millennio, si vedrebbero migliaia di piccoli punti luminosi accesi nei retrobottega dei bar di provincia. Erano i videopoker. Macchine spartane, assemblate in garage artigianali, che ufficialmente dispensavano “punti” o gettoni gratuiti, ma che nella realtà muovevano un fiume di denaro in contanti, invisibile al Fisco e totalmente privo di garanzie per il giocatore.
La storia di come quei punti luminosi siano stati spenti e sostituiti da terminali di Stato non è solo una cronaca legislativa. È la storia di una delle più grandi operazioni di emersione finanziaria d’Europa.
Il preludio: l’anarchia del TULPS (Anni ’80-2002)
Fino ai primi anni 2000, il quadro normativo era debole. L’Articolo 110 del TULPS (Testo Unico delle Leggi di Pubblica Sicurezza) faticava a tenere dietro all’evoluzione tecnologica. I videopoker proliferavano in una zona grigia: non erano classificati come gioco d’azzardo (vietato nei luoghi pubblici), bensì come apparecchi da intrattenimento.
Il meccanismo era noto a tutti, dalle forze dell’ordine ai gestori: il giocatore accumulava crediti virtuali, il barista pagava la vincita cash sottobanco e azzerava la macchina con un telecomando o una combinazione segreta di tasti (il cosiddetto “refill”). Secondo le stime della Guardia di Finanza dell’epoca, questo mercato parallelo sottraeva all’Erario miliardi di vecchie lire, alimentando spesso le casse della criminalità organizzata che imponeva il noleggio delle macchine.
La svolta: la legge finanziaria 2003
Il punto di non ritorno ha una data e un nome preciso: 27 dicembre 2002. È il giorno in cui viene approvata la Legge n. 289 (Legge Finanziaria 2003). L’articolo 22 di questa legge getta le basi per la “rivoluzione telematica”. Lo Stato capisce che non può vietare il gioco (troppo diffuso), quindi decide di nazionalizzarlo tecnologicamente.
Nasce il concetto di AWP (Amusement With Prizes), poi tecnicamente definito come dall’Art. 110 comma 6a del TULPS. La novità introdotta è radicale e si basa su tre pilastri:
- Collegamento Telematico: Ogni singola scheda di gioco deve essere collegata a un server centrale gestito dai Monopoli di Stato (AAMS, ora ADM) tramite il partner tecnologico SOGEI.
- Immodificabilità: Il software di gioco risiede su smart card o schede blindate, rendendo quasi impossibile la manomissione delle percentuali di pagamento.
- Il Nulla Osta: Ogni macchina deve disporre di un passaporto digitale.
2004: l’anno dell’accensione
Sebbene la legge fosse del 2002, la complessità tecnica dell’operazione richiese tempo. La vera “accensione” della rete avvenne nel 2004. In quell’anno, i bar italiani videro sparire i vecchi videopoker per far posto alle “New Slot”.
“Fu un cambio di paradigma brutale per i vecchi gestori. Prima il guadagno era tutto margine netto ed evasione. Dal 2004, lo Stato divenne il socio di maggioranza, prelevando il PREU (Prelievo Erariale Unico) direttamente alla fonte, ogni 15 giorni, leggendo i contatori da remoto.”
L’erosione del payout: Dal 75% al 65%
L’introduzione delle slot legali portò con sé la garanzia del Payout (o RTP – Return to Player). Inizialmente, per rendere attrattive le nuove macchine legali rispetto a quelle illegali, il legislatore fissò un RTP minimo molto alto: il 75% delle somme giocate doveva tornare ai giocatori sotto forma di vincite (calcolato su cicli di 140.000 partite).
Tuttavia, nel corso degli anni, le AWP sono diventate il bancomat dei governi per coprire buchi di bilancio o finanziare emergenze (come il terremoto in Emilia o in Abruzzo). Attraverso successivi decreti (detti “Milleproroghe” o Manovre correttive), il PREU è stato alzato e, parallelamente, il Payout minimo è stato abbassato. Oggi, il limite è sceso intorno al 65%. Una riduzione di 10 punti percentuali che ha cambiato drasticamente la giocabilità (“time on device”) delle macchinette da bar, rendendole molto meno generose rispetto al 2004 e infinitamente meno convenienti rispetto all’online (che viaggia sul 90-96%).
Per completare il quadro, è necessario citare il Decreto Legge 39/2009 (il “Decreto Abruzzo”). Fu questo atto a introdurre in Italia le VLT (Video Lottery Terminals).
A differenza delle slot da bar (comma 6a):
- Le VLT sono terminali collegati a un server centrale (il gioco non è nella macchina, ma nel server).
- Accettano banconote (le AWP solo monete).
- Offrono jackpot nazionali fino a 500.000 €.
- Non possono stare nei bar: sono confinate in sale dedicate e sorvegliate.
Il tramonto del bar, l’alba dell’online
L’introduzione delle slot da bar nel 2004 è stata un successo erariale senza precedenti, portando il settore legale da 0 a svariati miliardi di euro di gettito. Tuttavia, a vent’anni di distanza, il modello mostra le crepe. La tassazione elevata e il payout ridotto (65%) hanno reso le slot fisiche un prodotto “stanco”.
Per l’esperto del settore, la lettura è chiara: il 2004 ha educato gli italiani al funzionamento delle slot, ma il 2025 li sta vedendo migrare in massa verso i portali di slot da bar online, dove la “Fowl Play Gold” (la celebre Gallina) paga matematicamente molto più della sua controparte fisica impolverata nel bar all’angolo. Lo Stato ha vinto la battaglia della legalità nel 2004, ma il mercato sta vincendo quella dell’efficienza digitale oggi. Foto di form PxHere




