In occasione del 40esimo anniversario della loro morte, ricordati il vice questore aggiunto Antonino Cassarà e l’agente Roberto Antiochia, assassinati dalla mafia il 6 agosto del 1985 e il magistrato Gaetano Costa, ucciso il 6 agosto del 1980. Diversi gli appuntamenti, che vedranno la partecipazione del Ministro dell’interno Matteo Piantedosi e del Capo della Polizia Vittorio Pisani.
Il Ministro ha deposto una corona di alloro presso la lapide commemorativa, nell’atrio della Squadra Mobile di Palermo. In mattinata il Prefetto Pisani ha deposto una corona d’alloro alla stele commemorativa in piazza Giovanni Paolo II e successivamente alla Caserma Lungaro ha partecipato ad una messa in suffragio, assistendo poi alla proiezione di un documentario dedicato a Cassarà.
La figura di Ninni Cassarà, un uomo che non finiva mai di essere poliziotto, ha impresso un ricordo indelebile in tutti coloro che lo hanno conosciuto, per la sua instancabile dedizione professionale unita all’umanità del padre, del marito, dell’amico e del collega ideale, ricordo che – distanza di tanti anni dalla sua tragica morte – si è tramandato anche alle nuove generazioni. Roberto Antiochia fin dalla giovane età aveva deciso di dedicare la sua vita alla lotta alla mafia e si dedicava a questo compito con passione dedizione al servizio.
La storia di Cassarà ed Antiochia è paradigmatica e rappresenta il netto contrasto tra mafia e Stato, evidente persino in riferimento al tragico epilogo dell’assassinio, avvenuto in viale Croce Rossa il 6 agosto del 1985: fu un commando di numerosi killer, appostati e nascosti vigliaccamente tra i muri di un edificio prospiciente ad uccidere, con una tempesta di proiettili, chi, a volto scoperto e senza particolari precauzioni, “pattugliava” in vespa i quartieri della mafia e guardava in faccia i “padrini” di Cosa Nostra. Per il loro estremo sacrificio, entrambi sono stati insigniti della medaglia d’oro al valor civile.
“Oggi ricordiamo il procuratore Gaetano Costa, il vice questore Ninni Cassarà e l’agente Roberto Antiochia, caduti per mano mafiosa nelle estati del 1980 e del 1985. Servitori dello Stato di straordinaria dedizione, con ruoli e responsabilità diverse hanno operato con competenza e senso del dovere in anni particolarmente cruenti per il nostro territorio. Il ricordo di quegli eventi ci richiama alla necessità di continuare con determinazione il lavoro per garantire sicurezza, giustizia e legalità a tutti i cittadini. In questa giornata di memoria, rivolgo un pensiero di vicinanza e gratitudine alle loro famiglie, che hanno condiviso il peso di un sacrificio così grande, ha detto il presidente della Regione Siciliana, Renato Schifani.
“Il 6 agosto 1985 Palermo fu scossa da uno dei suoi giorni più bui – ha detto il sindaco Roberto Lagalla -. Il vicequestore Ninni Cassarà e l’agente Roberto Antiochia furono uccisi in un agguato mafioso di inaudita ferocia, sotto casa, in pieno giorno. Cassarà aveva collaborato con il pool antimafia, era un investigatore lucido e determinato, tra i primi a comprendere la struttura dei clan e il loro intreccio con pezzi opachi delle istituzioni. Oggi – conclude il sindaco – ricordiamo il loro sacrificio, ma non basta più ricordare se non accompagniamo la memoria con la verità, con il coraggio di rompere silenzi, di denunciare connivenze. Palermo deve molto a questi uomini. Ma non basta onorarli una volta l’anno. La città che vogliamo costruire ogni giorno, giusta, trasparente, non ricattabile sarà la loro vera eredità”.
Lagalla ha poi ricordato il magistrato Costa: “La figura del giudice Gaetano Costa ci ricorda e ci insegna che non si può combattere la mafia senza assumersi responsabilità e che non basta dichiararsi antimafiosi se poi si resta silenti davanti alle ambiguità, alle connivenze, ai compromessi. A 45 anni dalla sua uccisione per mano mafiosa, Costa resta ancora oggi una delle testimonianze più limpide di cosa significhi servire lo Stato con coerenza. Gaetano Costa non fu ucciso solo dalla mafia, ma anche dall’isolamento. Fu lasciato solo da colleghi che non vollero condividere la sua azione, da apparati che scelsero la prudenza, e da una società che all’epoca faticava ancora a riconoscere i volti del potere criminale. La sua vita e la sua morte ci chiedono coerenza. E Palermo – ha concluso Lagalla – nel suo nome, rinnova l’impegno a non dimenticare, ma soprattutto a non arretrare”.




