Riceviamo e pubblichiamo l’omelia dell’arcivescovo di Monreale, Gualtiero Isacchi
“Ogni lingua proclami: “Gesù Cristo è Signore!”” (Fil 2,11) è l’invito conclusivo dello straordinario inno che Paolo inserisce nella sua lettera ai Filippesi, perché professino con convinzione la fede in Cristo Gesù che, rinunciando al privilegio di essere Dio e «divenendo simile agli uomini» (Fil 2,7), ha fatto della nostra povera e fragile umanità il luogo teologico della manifestazione della gloria del Padre e strumento di comunione con Dio. «Gesù Cristo è Signore!», significa che la nostra umanità è rinnovata, ora è possibile vivere in modo nuovo questa vita. «Gesù Cristo è Signore!» è la fede che da 400 anni i monrealesi esprimono acclamando “Grazia Patruzzu amurusu”.
Quest’anno con maggior forza chiediamo “grazia!”. Lo facciamo silenziosamente, perché il nostro grido è soffocato dal dolore, dalla tristezza dell’immane tragedia che si è consumata sulle strade della nostra città. Le vite di Andrea, Salvatore e Massimo, sono state stroncate da una violenza sproporzionata e irragionevole che ancora ci interroga. Mai avremmo pensato che potesse verificarsi una circostanza talmente terribile. Eppure i gravissimi fatti di cronaca che ogni giorno vengono raccontati, ne erano preludio. A noi sembravano lontani, pensavamo potessero restare circoscritti là dove accadevano. Invece ci hanno raggiunto e colpito al cuore.
Così accadde proprio 400 anni fa. Era il 1625, anno giubilare ordinario indetto da papa Urbano VIII, la peste era già entrata da tempo dentro le mura della Città Stato di Monreale, ma il cuore dell’Arcivescovo Girolamo Venero e quello dei monrealesi venne toccato profondamente solo quando i Deputati della Sanità avvisarono del ritrovamento in una casa di tre fanciulli, di cui uno morto e due contagiati dalla peste bubbonica e portati al lazzaretto di San Rocco a Monreale. Oggi accade la medesima circostanza: da tempo la violenza è entrata nella nostra città, ma i fatti in cui si è manifestata, come i veli del nostro tradizionale rito dei venerdì di Quaresima, ci nascondevano il finale: la morte ingiusta dell’Innocente. Abbiamo pensato che lo spaccio di droga, la morte in solitudine di anziani, la violenza verbale, la maldicenza diffusa anche sui social, la diffamazione, l’arroganza… non ci avrebbero toccati. Oggi, come allora, tre giovani, Andrea, Salvatore e Massimo, sono stati colpiti dalla veemenza inaudita di una peste che è cresciuta nutrendosi di “piccoli contagi” che non apparivano così pericolosi.
Monsignor Girolamo Venero, alla notizia del contagio dei tre piccoli, “fece fare una processione con il SS. Crocifisso, quale speriamo nella sua misericordia ci darà la gratia d’estinguersi il male…” (dal Quinterno della peste). Anche noi questo pomeriggio riporremo in Lui la nostra speranza chiedendo che ci liberi dal male. Non una festa. Non una processione. Non la soddisfazione di alcuni. Ma l’affidamento silenzioso alla misericordia del Crocifisso di tutti i monrealesi e di tutta l’umanità, perché possiamo guarire dal contagio della violenza. C’è un altro insegnamento che vorrei raccogliere dalla storia. Come riuscì ad entrare la peste in Monreale, nonostante i tanti bandi e provvedimenti emessi per impedire il contagio? Si legge nei documenti del tempo che accadde a causa di un capraio monrealese, Luca Spatafora, il quale contravvenendo alle regole si recò alla piana di Santa Teresa, oggi Piazza Indipendenza, per commerciare alimenti di pastorizia. Vengono in mente le parole di San Paolo: «Come a causa di un solo uomo il peccato è entrato nel mondo e con il peccato la morte, così anche la morte ha raggiunto tutti gli uomini, perché tutti hanno peccato» (Rm 5,12). Le scelte di un solo uomo le paga l’umanità intera. Carissimi fratelli e sorelle, ciascuno è chiamato ad agire responsabilmente a partire dalle piccole cose quotidiane. Con il nostro modo di parlare, di scrivere sui social, di sussurrare nel nascondimento, di comportarci davanti ai giovani, diveniamo veicoli di vita o di morte. Interroghiamoci personalmente.
Dopo aver ascoltato la storia, vorrei cogliere alcune provocazioni dalla prima lettura. Il brano del libro dei Numeri ci racconta di una situazione, vissuta dal Popolo d’Israele, che mi pare illumini il nostro presente e ci aiuti a vivere la festa del SS. Crocifisso, perché riaccenda in noi la speranza. Israele si trova nel deserto sul faticoso cammino che porta dalla liberazione alla libertà: Dio ha operato la liberazione dalla schiavitù d’Egitto, ma la libertà deve guadagnarsela il popolo. Vivere nella libertà dei figli di Dio (cf Rm 8) non è semplice, Dio ne è consapevole per questo sceglie Mosè, lo chiama e lo costituisce pastore perché guidi quel popolo che faceva fatica a fidarsi di Dio.
Sottolinea tre passaggi di questa esperienza di Israele.
- a) In un momento di particolare fatica dovuta allo stare nel deserto, alla mancanza di cibo e di acqua e alla difficoltà del camminare insieme, il popolo si lamenta: «Perché ci avete fatto salire dall’Egitto per farci morire in questo deserto? Perché qui non c’è né pane né acqua e siamo nauseati di questo cibo così leggero» (Nm 21,5). È chiaro che non ha parlato il popolo tutto in coro. È presumibile, come sempre accade, che qualcuno, ergendosi a portavoce coraggioso degli “altri”, abbia prima soffiato sulla naturale fatica del cammino provata da tutti, trasformandola così in chiacchiera, poi in lamentala e infine in opposizione: «Il popolo disse contro Dio e contro Mosè». Che coraggio questo popolo, pretende di spiegare a Dio come si fa ad essere Dio.
- b) Questa arroganza, nutre il virus pestifero della violenza, così l’opposizione a Dio diventa morte che raggiunge tutto il popolo attraverso i «serpenti brucianti». I serpenti che erano già presenti nel deserto, ora, però, attaccano e procurano la morte degli israeliti. È quello che sta accadendo a questo nostra umanità: il “serpente velenoso”, nutrito e risvegliato dalle scelte di violenza che a lui avvicinano, morde, avvelena le relazioni, rende diffidenti, invidiosi, arrabbiati, arroganti, giungendo persino a toglierci la vita.
- c) Quando tra le fila degli israeliti si comincia a morire, scaturisce la confessione di peccato collettiva e riconoscono: «Sì abbiamo peccato contro Dio». Implorano Mosè che interceda presso Dio perché quel flagello, quel castigo si arresti una volta per tutte. Da quel dramma sgorga una confessione di peccato che porrà le basi per trasformare la situazione. Dio ascolta la preghiera di intercessione di Mosè e gli ordina di innalzare un serpente su un’asta, prefigurazione di Cristo innalzato sulla croce (cf Gv 3,14). Ciò non basta Dio ordina anche: «chiunque sarà stato morso e lo guarderà, resterà in vita». La salvezza, quando nel deserto si è morsi, non avviene magicamente, ma è resa possibile solo per coloro che scelgono di alzare lo sguardo. Questo “alzare lo sguardo” indica l’assumere un nuovo punto di vista. È questo l’invito di Dio che ci giunge attraverso il SS. Crocifisso: “cambia il tuo modo di guardare le cose!”. Non è vero che “nulla mai cambierà”; se alzi lo sguardo sul Crocifisso nella tua vita tutto cambia, tutto è nuovo e divieni portatore sano di gioia e di speranza. È questa la possibilità che ci dona il sacramento della Confessione e che avremo la possibilità di celebrare questa sera durante la veglia di preghiera in Cattedrale.
I serpenti velenosi sono sempre lì a strisciare sulla terra. Ci sono sempre stati fin dalla creazione del mondo (cf Gen 3). Il peccato, che può distruggere la tua vita, è costantemente in agguato, pronta a colpirti se gli offri l’occasione, ma oggi, in Cristo Crocifisso, tu puoi allontanarti e salvarti. Carissimi fratelli e sorelle, è questo l’invito che il Santissimo Crocifisso rivolge nuovamente a Monreale in questo 400° anniversario della liberazione dalla peste: che riconosciamo il nostro peccato, solleviamo lo sguardo verso di Lui per essere liberi dalla peste e per abitare in modo nuovo la nostra terra, le relazioni, il lavoro, la fede. È questa la vita cristiana. L’8 agosto 1625, l’Arcivescovo Venero ordina di “sventolare” tutte le “robe” all’aperto per tre giorni di seguito, per liberarsi degli ultimi residui del contagio. Carissimi fratelli e sorelle, vi invito a “far prendere aria” ai nostri cuori e alle nostre menti; riconosciamo i nostri peccati, alziamo lo sguardo al SS. Crocifisso. Quest’anno, senza luminarie, fuochi, fiori, bancarelle… riusciremo a vederlo meglio. È questa la grazia che oggi chiedo a Te, Patruzzu amurusu: converti il mio cuore e quello di questo tuo popolo. Ame