Non versa al Comune la tassa di soggiorno per 170 mila euro: denunciata

Redazione

Palermo - Palermo

Non versa al Comune la tassa di soggiorno per 170 mila euro: denunciata
Non ha versato la tassa di soggiorno al Comune per un importo complessivo di oltre 170.000 euro

25 Febbraio 2020 - 13:37

I finanzieri del Nucleo di polizia economico-finanziaria di Palermo, al termine di indagini coordinate dalla procura della Repubblica del capoluogo, hanno notificato a G.M.S. (cl. ‘79) originaria di Alia (PA), la misura cautelare dell’interdizione per un anno dall’esercizio di qualsiasi attività imprenditoriale, con conseguente impossibilità per l’indagata di ricoprire uffici direttivi delle imprese. L’ordinanza è stata emessa dal gip del tribunale di Palermo.

A seguito degli approfondimenti eseguiti dagli specialisti delle fiamme gialle, l’indagata – amministratrice di tre importanti strutture ricettive a Palermo (due alberghi e un bed & breakfast) – è stata denunciata per peculato, per non aver versato al Comune l’imposta di soggiorno riscossa negli anni dal 2014 al 2018, per un importo complessivo di oltre 170.000 euro.

“L’albergatore che riscuote per conto del Comune tale tributo – spiegano dal Comando – introdotto a Palermo nel 2014 (che deve essere corrisposto da tutti coloro, non iscritti nell’anagrafe del Comune di Palermo che pernottano nelle strutture ricettive della città), riveste, infatti, la qualità di “agente contabile” e, quale “incaricato di pubblico servizio”, se non provvede nei modi e nei tempi previsti all’obbligo di versamento di quanto riscosso dai clienti per conto dell’Ente pubblico si rende appunto responsabile del grave delitto di peculato“.

Nel caso di specie, l’indagata solo a seguito delle attività ispettive poste in essere dai finanzieri nel corso del 2019 ha, poi, provveduto alla regolarizzazione del cospicuo debito con il Comune di Palermo, così evitando il sequestro preventivo del profitto del reato, nonché i connessi profili di responsabilità erariale che sarebbero stati valutati dalla Corte dei Conti. Sulla base delle prove, il giudice per le indagini preliminari, valutati “gravità dei fatti, la pluralità e la sistematicità dei medesimi, l’estensione di essi a livello di propria pratica di gruppo imprenditoriale”, ha ritenuto concreto il pericolo di reiterazione del peculato ipotizzato ed ha conseguentemente applicato la misura cautelare interdittiva del divieto di svolgere attività d’impresa.

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