Era vicino alla famiglia mafiosa di Villabate: confisca da 400 milioni per l’ex deputato Acanto

Redazione

Palermo

Era vicino alla famiglia mafiosa di Villabate: confisca da 400 milioni per l’ex deputato Acanto

10 Agosto 2018 - 09:37

La Dia di Palermo ha eseguito la confisca di beni mobili e immobili, tra i quali anche rapporti bancari, capitale sociale e relativi compendi aziendali e quote societarie, nei confronti dell’ex deputato regionale Giuseppe Acanto, 58 anni, ritenuto legato ai vertici di Cosa nostra a Villabate. La confisca ammonta a oltre 400 milioni di euro.

Acanto, inoltre, ritenuto dal Tribunale di Palermo “socialmente pericoloso” è stato sottoposto a sorveglianza speciale per quattro anni, a partire dal 2018. Secondo la Dia, Acanto negli anni ’90 era socio in affari illeciti con Giovanni Sucato, il cosiddetto “mago dei soldi” che, dopo aver truffato migliaia di persone tra cui anche alcuni appartenenti a Cosa nostra, sparì poi con un ingente capitale e il cui cadavere, nel 1996, fu trovato carbonizzato all’interno della propria auto.

Anche Acanto dopo aver subito l’incendio nello studio professionale si rese irreperibile. Nel 1994, dopo essere stato perdonato grazie alla mediazione di elementi di spicco della famiglia di Villabate, riprese l’attività di commercialista, dedicandosi alla costituzione di società in nome e per conto degli uomini d’onore.

Secondo gli investigatori riuscì a trovare interlocutori privilegiati all’interno dell’amministrazione del comune di Villabate (in seguito sciolto per infiltrazioni mafiose) facendosi nominare direttore del locale mercato ortofrutticolo e avvicinatosi all’attività politica, si occupò di sviluppare ogni operazione economica d’interesse della locale famiglia mafiosa, come la costruzione del centro commerciale. Candidato alle elezioni amministrative del 2001 con la lista Biancofiore, con il sostegno della cosca locale, risultò il primo dei non eletti, riuscendo poi comunque ad accedere ad un seggio all’Assemblea regionale siciliana.

Il provvedimento, emanato a seguito di proposta di misura di prevenzione patrimoniale formulata dal Direttore della Dia, scaturisce dagli esiti di una complessa attività investigativa che, già in passato, aveva consentito di accertare la gestione, da parte di Acanto, della contabilità di società riconducibili al clan di Villabate. “Particolarmente significative – dicono dalla Dia – sono apparse le dichiarazioni rese dal collaboratore di giustizia Francesco Campanella, braccio destro di Nino Mandalà. Quest’ultimo, boss di Villabate di stretta “osservanza” corleonese, fra gli anni 2002 e 2004 ebbe l’incarico di gestire un periodo di latitanza dell’allora ricercato Bernardo Provenzano curandone gli aspetti logistici, assistenziali ed amministrativi legati al ricovero in una casa di cura a Marsiglia”.

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