Ecco la nostra secchiata d’acqua gelata: la visita al centro Sla di Palermo

Redazione

Cronaca

Ecco la nostra secchiata d’acqua gelata: la visita al centro Sla di Palermo
ICE BUCKET CHALLENGE - Parla il responsabile del centro Sla, La Bella: "Il gioco su internet ha funzionato, ma la malattia è una cosa seria"

18 Gennaio 2016 - 00:00

Ha attraversato l’Oceano in fretta ed è sbarcato anche in Italia. Si chiama “Ice Bucket challenge”: un modo, proposto in America, per raccogliere fondi da destinare alla ricerca sulla Sla. È stato inventato da Pete Frates, 29 anni, ex giocatore di baseball, malato di Sla. Il tam tam su internet è stato incredibile. Oggi, pare che siano 29 milioni le persone coinvolte, tra chi si fa la doccia con un secchio di acqua gelata o chi ha semplicemente messo un “Mi piace” su facebook su uno di questi video. Ma, cosa più importante, è servito anche e soprattutto a raccogliere fondi da destinare alla ricerca: 44 milioni di dollari in America, circa 200 mila complessivi in Italia, quasi 5.000 euro in pochi giorni solo a Palermo. Il centro Sla di Palermo si trova in via Gaetano La Loggia al civico 1. Qui ci sono le migliori tecnologie disponibili sul mercato ed un laboratorio attrezzato di tutto punto. Al lavoro ricercatori, medici e biologi tutti volontari che hanno seguito l’impegno di Bice Di piazza e della figlia Roberta che hanno voluto fortemente questo centro, aperto nel 1999. Oggi la presidente è l’avvocato Tiziana Lamberti. Il responsabile del centro è il professor Vincenzo La Bella, neurologo e psicologo. Professore, intanto chiariamo cos’è la Sla “Si tratta di una malattia neurodegenerativa del sistema nervoso che colpisce le cellule che controllano i movimenti, i motoneuroni. La persona, non potendo più muoversi, diventa incapace di essere autonoma, fino alla paralisi dei muscoli, che si atrofizzano. In pratica si resta imprigionati nel proprio corpo, visto che tutte le altre funzioni intellettive e sensoriali rimangono intatte. Un  soggetto vivo in un corpo che non si muove credo che sia una situazione drammatica” Come si evolve la malattia? “È una malattia abbastanza aggressiva. Si evolve ed arriva allo stadio finale nel giro di 2/3 anni. Ci sono pazienti che hanno decorso di 4/5 anni, per noi sono casi eccezionali. Dalla Sla non si guarisce. La malattia porta alle difficoltà a deglutire, fino all’impossibilità di respirare. Infine sopraggiungono le complicazioni cardiache, visto che il cuore è l’organo che viene sottoposto ad uno stress notevole. Non si muore soffocati, vorrei sfatare questa leggenda. I polmoni funzionano perfettamente. Non funzionano i muscoli che ne permettono la compressione e la decompressione”. Esistono farmaci per curare la Sla? “La ricerca sta lavorando tantissimo in questo senso per tentare di capire come si sviluppa la malattia, perché, all’improvviso alcuni geni, cooperino in maniera negativa, per far insorgere la malattia. Ai pazienti viene somministrato il riluzolo, che serve solo a rallentare la malattia. Dalle nostre ricerche, abbiamo scoperto che concede ai pazienti tre mesi di vita in più”. Ancora, però, non si è riusciti a comprendere quali siano i fattori scatenanti della malattia? “Il sistema nervoso è molto complesso e noi conosciamo ancora davvero troppo poco. Quasi tutte le malattie che coinvolgono il nostro cervello sono mortali. Quello che sappiamo è che la Sla non è una malattia dell’invecchiamento, come, per esempio, l’alzheimer. Colpisce i pazienti che hanno tra i 59 ed i 60 anni. Sono rari i casi in pazienti giovani, così come in quelli molto anziani. Ma abbiamo avuto casi di pazienti 30enni o di 85 anni”. Il problema, però, è fare una diagnosi “Sì. Infatti, in media, ci si impiega tra i 10 ed i 12 mesi per arrivare alla diagnosi di Sla. Tempi che sono molto lunghi. Questo proprio perché non si sa molto della malattia”. Quali sono i sintomi? “Di solito si comincia con la diminuzione di forza in un arto, od in una mano, Oppure difficoltà a parlare. Sintomi che spesso vengono confusi con laringiti, artrosi, disturbi circolatori o mielopatie. I campanelli d’allarme, anche per il medico, però, devono essere la persistenza dei disturbi, ma soprattutto il peggioramento, perché, come detto, la Sla è molto aggressiva”. Da cosa dipende, secondo Lei, tutto questo tempo necessario per fare una diagnosi? “Il fatto che, difficilmente, un medico, cel corso della sua carriera vedrà un caso di Sla. A Palermo, per esempio, ci si aspettano 7 casi l’anno, visto che la malattia colpisce un individuo ogni 100 mila abitanti. E poi il fatto che, e la colpa è anche di noi medici, tendiamo sempre a pensare alle malattie facili e non a quelle complicate e rare. La ricerca, però, serve a questo”. Cosa ha pensato quando ha visto l’Ice bucket challenge? “Ero contento, perché ho compreso che questo tam tam mediatico non avrebbe fatto altro che portare benefici a noi “addetti ai lavori”. Nel 1999, quando è stato aperto il centro, pochissimi conoscevano il termine Sla. Anche chi lavorava nel campo medico. C’erano difficoltà perfino con i codici dell’esenzione. Oggi, grazie ai media ed ai social network, si sono puntati i riflettori su queta malattia terribile e si stanno raccogliendo fondi che faranno muovere la ricerca”. Palermo come ha risposto? “Da noi il, chiamiamolo gioco, è iniziato da soli pochi giorni. Devo dire, però, che nel conto corrente si vedono già i primi segnali positivi di questa influenza mediatica. Nello stesso periodo dello scorso anno, a livello nazionale avevamo raccolto tra i 30 ed i 40 mila euro. Oggi, siamo già a quota 200 mila euro”. Quindi ben venga una secchiata d’acqua gelata in testa? “Certo, basta che ognuno di noi faccia una piccola donazione. Basta un euro. Ma pensate se tutti donassimo un euro quanti fondi destineremmo alla ricerca”. (LE FOTO SONO DI VINCENZO GANCI)

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