Non chiamatelo "Vescovo antimafia", o con la scorta. “La mia unica scorta è quella di San Michele Arcangelo”, dice facendo una battuta. Ecco il nuovo arcivescovo della Diocesi di Monreale che, stamattina, ha tenuto la sua prima conferenza stampa. Sorriso stampato sulle labbra, per niente emozionato, Michele Pennisi comincerà ufficialmente alle 17,30 il suo nuovo mandato. Con una solenne cerimonia di passaggio delle consegne che si terrà al Duomo di Monreale. “Vengo innanzitutto come fratello tra fratelli, cristiano tra cristiani”. A Piazza Armerina era conosciuto per essere vescovo di strada, “un po’ perché era difficile raggiungere i miei uffici”, dice sempre con una battuta. Ma Pennisi è stato e continuerà ad essere davvero il vescovo di tutti, un po’ come Papa Francesco. “Anch’io porto la sua stessa Croce – dice – che mostro sempre ai bambini, perché c’è il Buon Pastore e la pecorella, un’immagine meno forte di Gesù in croce”. Pennisi vuole essere il vescovo di tutti ed ha le carte in regola per essere apprezzato ed amato dalla comunità monrealese, ma non solo. “Non ho un programma preciso per la Diocesi – dice – ma la voglia di mettermi a lavorare per far riscoprire ai fedeli la gioia di essere cristiani”. Da un posto “difficile” ad un altro. “Ma di Gela conservo un bel ricordo – dice – e sono sicuro che qui mi piacerà. Desidero improntare una missione pastorale fatta sul territorio, a contatto con il mondo della scuola, sanità, lavoro ed emarginazione”. L’obiettivo di Pennisi è la valorizzazione dei tesori custoditi nella Diocesi di Monreale, ma soprattutto il suo impegno è verso i giovani che “in un periodo di crisi morale, culturale e poi economica, sono i primi a smarrirsi”. Per Pennisi la Chiesa deve collaborare con le altre istituzioni, non sostituirsi. Ha parlato del progetto “Policoro” che permette l’acceso al microcredito per i giovani che hanno voglia di iniziare attività lavorative, perché “bisogna aiutarli a sviluppare la cultura del lavoro”. Sulla mafia, Pennisi dice: “Importante prevenire i comportamenti mafiosi. Tutti ricordiamo l’invettiva lanciata da Papa Giovanni Paolo II ad Agrigento. Noi cristiani dobbiamo combattere il fenomeno mafioso a partire dal Vangelo”. Dopo la conferenza Monsignor Pennisi si è trasferito dalla suore Carmelitane a Giacalone, dove rimarrà in momenti di preghiera, fino alla visita privata presso l’albergo dei Poveri, prima di recarsi al Duomo. Pennisi è un vescovo tecnologico. A Parte un profilo su facebook, ha un ipad con cui si tiene sempre aggiornato. Ed una mail dove risponde alle richieste ed alle domande dei fedeli. “Non riesco a farlo con tutti – dice – ma cerco di essere sempre pronto per i miei fratelli”. L’indirizzo per scrivere a monsignor Pennisi è vescovomp@gmail.com Ecco il discorso integrale di Monsignor Pennisi alla stampa "Vengo nella Chiesa di Monreale innanzitutto come fratello fra fratelli, cristiano fra cristiani. Il programma pastorale non lo posso fare a tavolino ma deriverà dall’ascolto dei bisogni e delle istanze presenti nella realtà diocesana e dalla valorizzazione delle risorse umane. Bisogna puntare sull’essenziale riscoprendo la gioia e la bellezza dell’essere cristiani. Passare da una pastorale di conservazione ad una pastorale missionaria, da una mentalità individualista a una comunitaria, da una impostazione passiva e rassegnata a una mentalità fondata sulla corresponsabilità e aperta alla speranza. Si tratta di aprirsi alla pastorale che raggiunga i vari ambienti (scuola, mondo del lavoro, sanità, emarginazione sociale) e di valorizzare le risorse presenti nelle associazioni e nei movimenti ecclesiali. Vogliamo rilanciare la pastorale culturale, scolastica, universitaria, sociale, sanitaria. Si tratta di passare da un cristianesimo convenzionale di "atei devoti", per i quali Dio è un intruso che non entra nella vita quotidiana, ad un cristianesimo maturo fondato su una fede autentica, da una appartenenza ecclesiale debole ad una appartenenza responsabile. Si tratta di passare dai particolarismi e campanilismi ad una comune corresponsabilità missionaria attraverso strutture pastorali adeguate ai nuovi tempi, da una pratica religiosa rinchiusa nelle sagrestie ad una testimonianza cristiana coraggiosa e gioiosa presente nel mondo della cultura e della costruzione della città degli uomini nella giustizia e nella pace, capace di liberarsi dalla barbarie della mafia, dalle piaghe dell’usura e del pizzo e da ogni altra forma di violenza e di illegalità. In questo periodo di crisi morale ed economica c’è il rischio per i giovani dello scoraggiamento e dello sbandamento senza valori forti di riferimento, anche per la responsabilità degli adulti che hanno abdicato al loro compito educativo e a una testimonianza credibile di vita. Il compito della Chiesa è dare un messaggio di speranza proveniente dal vangelo. Mi auguro che i giovani possano vedere nella chiesa la loro casa e possano trovarsi a proprio agio. Bisogna aiutare i nostri giovani a sviluppare una cultura del lavoro e della cooperazione attraverso il progetto “Poliporo” della Chiesa Italiana, attivando, come sta avvenendo nella diocesi di Piazza Armerina e in altre diocesi, per i giovani che vogliono crearsi un lavoro e iniziare una attività imprenditoriale un accompagnamento attraverso degli esperti e un sostegno economico attraverso un microcredito riservato a loro. L’arcivescovo Naro, che aveva una conoscenza non superficiale della mafia, voleva contrastare la piovra alla radice, mostrando al popolo modelli di vita più desiderabili di quelli proposti dai boss. Per questo voleva in diocesi, accanto alle centrali del malaffare, i monasteri, e, accanto alle icone dei boss, le figure dei santi locali. Era il suo modo di combattere la mafia. Ma era anche il suo modo di lottare per riformare la Chiesa. Il compito della Chiesa è un compito educativo di denuncia del male e di annuncio della buona notizia dell'amore di Dio , che è inseparabile dalla sete di verità e di moralità e dalla fame di giustizia. L'atteggiamento pastorale verso i mafiosi non può non avere a sua base la coscienza che la Chiesa è venuta gradualmente maturando circa l'incompatibilità di mafia e vita cristiana accompagnata dalla esigenza di prevenire i fenomeni criminosi ed aiutare i mafiosi a pentirsi , a riparare il male fatto e a diventare persone nuove. Giovanni Paolo II con il suo grido ad Agrigento ha messo in evidenza come i cristiani abbiamo motivazioni valide per contrastare la mafia a partire dalla nostra originale esperienza di fede ispirata al Vangelo. La Chiesa siciliana non può tornare indietro su questa via. Tanto più che questo cammino storico della Chiesa siciliana è stato, per così dire, suggellato dalla splendida testimonianza del martirio del prossimo beato don Pino Puglisi, ucciso dalla mafia perché fedele al suo ministero di prete. La memoria di questo martirio è impegnativa per la Chiesa siciliana tutta. Il suo martirio è venuto a siglare questa stagione di impegno ecclesiale anche se questo martirio non va disgiunto e isolato da quello di numerosi altri uomini tra cui vari magistrati e esponenti delle forze dell’ordine e della società civile. L'atteggiamento pastorale verso i mafiosi va accompagnato dalla esigenza di prevenire i fenomeni criminosi e di aiutare i mafiosi a pentirsi , a riparare il male fatto e a diventare persone nuove. Non bisogna abbassare la guardia per contrastare la criminalità mafiosa, ma i cristiani devono trovare motivazioni valide per contrastare questo fenomeno a partire dalla loro originale esperienza di fede e dalla loro appartenenza ecclesiale. La Chiesa che annuncia il vangelo dell’amore può esercitare un ruolo determinante come collante sociale, agenzia di formazione permanente, luogo di incontro e di dialogo con tutti. I cristiani in collaborazione con tutti gli altri uomini di buona volontà sono chiamati a testimoniare un esistenza vissuta nel rispetto delle regole, mostrando che una vita umile e paziente, rispettosa delle leggi ed estranea alle furberie e alle prepotenze non è un atteggiamento proprio degli imbelli, ma delle persone libere e forti, oneste e sensibili al bene comune. È importante valorizzare al meglio le risorse umane e il patrimonio storico – artistico- culturale, ambientale di cui è ricca ed elaborare un piano territoriale di interventi in campo culturale e sociale per pianificare uno sviluppo ordinato e sostenibile. Il servo di Dio don Luigi Sturzo, che fu pro-sindaco di Caltagirone per 15 anni, sentì come una sua missione quella di introdurre la carità nella vita pubblica nella convinzione che l’amore cristiano strettamente collegato con la ricerca delal giustzia deve essere l'anima della riforma della moderna società democratica nelle quale le persone sono chiamate a partecipare responsabilmente alla vita sociale per realizzare il bene comune. Il fine della politica consiste nel bene comune che per essere a vantaggio di tutti non può prescindere dal bene morale. Per don Sturzo la moralità presuppone la maturazione di una coscienza che deve essere educata , illuminata , formata dalla riflessione razionale in un clima di libertà per discernere con convinzione e con sicurezza il bene dal male. La moralizzazione della vita pubblica è legata per Sturzo soprattutto ad una concezione religiosa della vita da cui deriva il senso della responsabilità morale e della solidarietà sociale".
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