Redazione

Palermo

18 Gennaio 2016 - 00:00

“Chiedo scusa alla città ed alla mia famiglia”. Inizia così l’attesissima conferenza stampa di Fabrizio Miccoli che in un’intercettazione telefonica diceva la frase “quel fango di Falcone” che ha suscitato tanto sgomento non solo nell’ambiente calcistico, ma anche nei palermitani. “Per me è un giorno importante – continua l’ex capitano rosanero -, dopo tutto quello che è successo sono tre notti che non riesco a dormire perché sono uscite delle cose che io non penso assolutamente e l’ho dimostrato anche con i fatti. Al di là della generosità, l’ho dimostrato scendendo in campo nel 20esimo anno della morte di Falcone. Sono 20 anni che faccio questo lavoro. Sono andato via da casa a 12 anni per fare questo lavoro. Sono un padre di famiglia”. Al termine di questa frase Miccoli scoppia a piangere: “Voglio crescere i mie figli nella legalità – continua con un filo di voce -. Sono un calciatore e non sono mafioso. In questi anni che sono stato a Palermo sono stato amico di tutti in modo spontaneo senza pensare a cosa andavo incontro. Sono contento che sia uscito tutto perché per me può essere importante. Spero un giorno di poter essere testimone della legalità delle associazioni della signora Falcone". Maria Falcone aveva commentato le parole di Miccoli con il termine “inqualificabile”. Lui dice di aver sentito il figlio di lei: “Mi ha detto che era sufficiente che chiedessi scusa alla città e io vorrò rendermi utile come testimone ad azioni di legalità. In Procura ho passato cinque ore importanti nelle quali ho risposto a quello che mi si chiedeva e sono uscito molto sereno. È uscito un altro Fabrizio”. 

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