Strade di Monreale, se il Comune non riesce a garantire quel minimo di sicurezza…

Raimondo Burgio

Matita di Legno

Strade di Monreale, se il Comune non riesce a garantire quel minimo di sicurezza…
Basterebbero delle scelte importanti e precise

29 Luglio 2015 - 13:39

La domanda è: quanto costa mettere in sicurezza una strada? Certamente meno di quanto costi un figlio per dei genitori.

Poco mi importano le dichiarazioni e le promesse di applicazione di intenti ovvero le interpellanze nei consigli comunali. Non ci sono scusanti, nemmeno quella della mancanza di dirigenti degli organi di Polizia municipale.

I vari politici che si sono presi l’onere di gestire la città devono farsi promotori di azioni che “fattivamente e tangibilmente tendano alla gestione, cura e manutenzione della struttura urbana” e questo concetto lo ribadirò sempre con pervicacia. Immobilismo ecco il nome. Perché garantire la sicurezza è un valore sociale fondamentale ribadito in ogni tipo di documento pubblico e non dovrebbe essere un sacerdote a doverlo gridare da un altare in occasione di un ripetuto straziante lutto.

Da dove si comincia? A costo zero: facendo formazione nelle scuole e ricordo a tale scopo “Cantiere Zero” una iniziativa con esperienze di educazione alla guida e di incontri studio fatta nelle Marche. Si dovrebbe pensare ad azioni pubbliche locali più sistemiche e a nuovi modelli di mobilità urbana sulla scia di conoscenze acquisite alla luce di quanto praticato in Europa.

Chiudere addirittura una parte della città e non soltanto le piazze non sarebbe una utopia, ma un mutamento di strategia urbana sul modello di Bicing già funzionante a Barcellona (un bike sharing dal costo di 24 euro all’anno), ma senza arrivare a forme di così utopica civiltà qui basterebbe attivare una seria movimentazione su mezzi pubblici tipo navette.

Riuscire ad abbassare l’impatto del traffico veicolare i relativi livelli di inquinamento si può fare, si potrebbe sorvegliare meglio il nostro patrimonio storico e innalzare il livello di qualità e vivibilità urbana, invece qui procede senza che si intuisca chi sia il responsabile di cosa. Quante Mappe del “danno sociale” dovremo compilare ancora per capire la ricaduta negativa sul nostro territorio delle morti per strada?

Da una parte abbiamo una infrastruttura pericolosa che non permette di essere percorsa in reale sicurezza dell’utente e dall’altra parte bisogna mettere in evidenza il fattore uomo poiché lo stile di guida adottato non è certamente rispettoso delle normative. Per contenere questi due fenomeni si possono intraprendere varie azioni a basso costo, ma nulla, proprio nulla si è visto concretizzare in questi anni.

Bisogna dunque riflettere sulla questione della rilevanza della mobilità del singolo, sulla scelta delle tipologie di trasporto, sulla qualità della vita e sulle forme del vivere e dello spostarsi in una città contemporanea che vive una forte connotazione storica nel suo centro urbano.

Suggerisco di non aspettare più, è evidente a noi tutti che le inserzioni lungo la circonvallazione sono il luogo di maggiore casistica di incidenti insieme a tutte le variabili che si aggiungono a questo fatto prettamente urbano. Non sono dei dossi che ci tuteleranno, ma azioni in cui vi sia il coinvolgimento immediato dei vari settori preposti alla pianificazione urbanistica e della mobilità presieduti da un corpo politico motivato.

Mi chiedo dove siano i partiti, in grado di fare riunioni fiume sulle lotte intestine, ma incapaci di convogliare energie per un vero fine pubblico concreto, fattivo, tangibile di cui la gente valuterebbe la bontà. Non ho mai sentito parlare di tavoli di lavoro con esperti del settore urbano, né di gruppi di lavoro che propongano, con progetti su carta, strategie di lavoro e di ridisegno della città.

La città non può solo dispensare poltrone e incarichi retribuiti ma deve essere fatta dal basso e per l’appunto dalle basi che dicono di volerci rappresentare.

Un atto di accusa esplicito meritano poi tutti coloro che a vario titolo e onere occupano le poltrone dirigenziali e che si nascondono dietro borbonici codicilli e bilanci insufficienti. Dico loro che devono vergognarsi perché la città è indignata e l’adagio di Tomasi di Lampedusa (Tutto cambia, affinché nulla cambi, ndr) è quanto mai attuale. Studiare le soluzioni, approfondire le tematiche confrontandosi con esperti del settore e guardare con occhi diversi l’approccio alla città è una cosa possibile, ma sembra solo che sappiate gestire le emergenze e a queste dare priorità.

Conoscete la generosità, la dedizione e l’amore per il vostro lavoro? Qualora la risposta dentro di voi fosse positiva sappiate che però la città non la percepisce allo stesso modo e pertanto qualora fossi nei vostri panni mi farei qualche esame di coscienza.

Ampie bibliografie e corsi trattano l’argomento e forse basterebbe scandagliare un po’ meglio sul web per iniziare a capire la strada da percorrere.

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