Se il fulmine colpisce il Duomo per illuminare gli “scempi”

Raimondo Burgio

Matita di Legno

Se il fulmine colpisce il Duomo per illuminare gli “scempi”
Un episodio che fa riflettere sul patrimonio storico della città che invece viene trascurato e lasciato in stato di abbandono

15 Giugno 2015 - 13:30

Francesco Gandini in “Viaggi in Italia” pubblicato già a Cremona nel 1835 ci narra parlando del Cattedrale di Monreale che “un accidentale incendio consumò agli 8 dicembre del 1811 una parte del Duomo che a grandi spese è già stata rifatta; i travi caduti piombarono sopra i due sepolcri, uno in porfido rosso di Guglielmo I e l’altro in marmo di Guglielmo II;”

Che diranno le guide di domani? E che riporteranno in merito all’accaduto? La furia dei fulmini si è abbattuta sulla lanterna della cupola absidale e ha divelto l’elemento sommitale che è piombato sulla strada causando danni fortunatamente solo a cose. Eppure questa volta non c’è stato l’intervento di un sindaco allertato dalla Protezione Civile o dai Prefetti allarmato da una probabile “Allerta Meteo”.

Già dal basso si poteva apprezzare, a tempesta avvenuta, che il manto di copertura non era particolarmente danneggiato ma più che altro si tratta di un piccolo sfregio al volto del nostro Duomo. La copertura della lanterna pertanto potrà essere ripristinata con un intervento semplice, non troppo oneroso, con modesta attenzione. Inoltre lavorando secondo il principio della “anastilosi” alla Giovannoni, si potrà ricostruire anche la sfera lapidea che svettava all’apice grazie al recupero delle parti ritrovate lungo la via arcivescovado e raccolte dalle maestranze della Fabbriceria. Non c’è stato innesco e propagazione di fiamme come nel 1811, ma evidentemente le forti vibrazioni sonore (tuoni) hanno innescato un processo di riverbero acustico all’interno del catino absidale generando il distacco dello strato di vetro protettivo di qualche tessera musiva.

Quest’ultimo episodio ovviamente non compromette l’integrità dell’insieme, ma potrebbe pregiudicare la solidità dell’intero rivestimento poiché per l’appunto si parla di “patto sodale” tra le piccole parti vetrose tenute sul muro da una vecchia malta peraltro spesso poco coerente e umidiccia. Se non ricordo male era la fine degli anni ottanta quando si lavorava al mantenimento del tessuto musivo e sotto la gestione dell’Arcivescovo Cassisa arrivarono i fondi per il restauro delle travi lignee e per la disinfestazione delle colonie di termiti che operavano un attacco xilofago alle parti in legno. Aspettiamo con ansia che l’occhio della Soprintendenza ai Beni Culturali volga a noi il suo benevolo sguardo e che, allarmata, si attivi per una concreta azione di analisi e manutenzione.

Non per ultimo, questo evento, dovrebbe fare oltremodo riflettere su un Patrimonio costituito da una serie di emergenze storiche molto trascurate e in vero stato di abbandono in quanto prive di manutenzione e di semplice cura. Penso alla chiesa dell’Odigitria o alla chiesa della Madona dell’Orto per citarne solo due, ma non vorrei nemmeno vedere restauri in grado di annullare le tracce della tanto ricercata “patina dell’antico” (cfr. Morris e Brandi per citare due scuole di pensiero).

Registro delle aberrazioni progettuali quando ancora nel 2015 devo vedere apposta sulla tavolatura in legno dei tetti di edifici ecclesiastici guaine bituminose che ostacolano il normale flusso igrometrico a causa della assoluta incapacità di saper scegliere a livello progettuale quali materiali riescano a garantire la vita degli elementi lignei. Il problema della condensazione del vapor d’acqua, sia che avvenga sulle superfici delle strutture, sia che avvenga all’interno delle stesse, rappresenta un rischio sotto un duplice aspetto: quello legato alla conservazione delle strutture e quello legato alla salubrità degli ambienti. Non è raro infatti imbattersi nella formazione di muffe, o assistere alla disgregazione di intonaci e murature proprio a causa dei fenomeni suddetti, pertanto non sto qui a sottolineare quanto degrado si possa provocare in ambienti di pregio storico in cui il danno diviene irreversibile.

Allo stesso modo non mi piacerebbe trovare – a ponteggi smontati – accostamenti cromatici inventati e posticci che urlano sia per l’impiego di materie prime troppo contemporanee che per l’improvvida esperienza di maestranze poco avvezze alla sacralità del restauro.

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