“I love Monreale”, o forse no…

Raimondo Burgio

Matita di Legno

“I love Monreale”, o forse no…
Ecco perchè siamo fuori dalle logiche del turismo

08 Giugno 2015 - 13:27

La trasformabilità delle aree urbane è sotto gli occhi di tutti, negli ultimi anni di questa lunga pesante crisi, molti assetti sono cambiati in modo macroscopico, e nuove spinte si fanno spazio. Le desiderabilità sociali e le praticabilità ambientali sono frutto di vere e proprie spinte che hanno alla base riflessioni sullo sviluppo sostenibile maturate ormai livello mondiale

Durante l’intervista della scorsa settimana con Maurizio Carta  (leggila qui) abbiamo concentrato la nostra attenzione su come agire, mediante una lettura serena, sui processi di riqualificazione del turismo come una delle principali leve della ricrescita e riqualificazione del nostro vasto territorio.

Alle volte pare difficile abbandonare una posizione di potere per uno stato inferiore di umiltà relativa. L’incapacitàdi guardare ad un fenomeno territoriale più ampio non conduce verso una elaborazione di una possibile alternativa (basti pensare alla parole di Rem Koolhaas). La crisi della città parte dal fatto che non dobbiamo farci ammaliare dagli strascichi di pensieri alla Derida: secondo cui non possiamo essere Tutto, alla Baudrillard; per il quale non siamo Reali,  o farci imprigionare nel pressappochismo liquido di Bauman.

Se questa classe politica vuole, insieme a noi tutti, promuovere una reale ricrescita, una nuova era economica e socio-culturale, deve interpretare una nuova semantizzazione dell’ambiente e della città, lasciando da parte i fantasmi di ordine o onnipotenza.

I processi da agevolare sono quelli basati su forme economiche efficienti che si riconfigurino partendo da nuove e molteplici istanze di mercato in modo più complesso. Non è necessario inventarsi nuovi prodotti/servizi – siamo in un mercato saturo – ma offerte, che inseriscano nelle vecchie forme strutturali private e magari cooperativistiche, accoglienze sostenibili, in rete e architettate in una nuova veste. In fondo è la formula vincente di Steve Jobs quella cioè di far trovare in un solo apparecchio più servizi in contemporanea facendo funzionare tutto al meglio. 

Il problema delle aree da riqualificare e dell’edilizia si risolve spesso con interventi puntuali e mirati, ma soprattutto ripristinando in modo diverso. È tempo di cambiare l’approccio di base ed è il momento di “concretizzare” piuttosto che chiacchierare. Possiamo ripartire ad esempio dal fenomeno della edilizia in legno, riconvertendo le maestranze verso un approccio più biosostenibile e compatibile, che incontri la domanda sempre più articolata e qualitativamente specifica.

Alla luce della tavola rotonda sulle nuove frontiere del turismo esperenziale tenutasi di recente a Cefalù come però di tanti altri eventi del genere, non si legge un vero e proprio cambiamento di rotta. Aleggia semmai imperante la logica di un  patrimonio da “sfruttare” a piene mani. Mentre negli Stati Uniti si impiega il denaro per creare cultura, nell’idea locale e tipicamente italiana si deve “bruciare la cultura” per creare denaro. Se il mio politico non lo capisse (e qui il J’accuse è lampante) intendo indignarmi una volta per tutte per gli scempi che consentiamo nella nostra città. È inaccettabile, per l’agire politico, pensare  di non risolvere la problematica dell’aggressione perpetrata dagli “interessi privati” a quanto costituisce lo spazio pubblico e il sistema monumentale e territoriale tutto.

Tu signor Sindaco, tu signor assessore all’Urbanistica, signor assessore ai Beni Culturali siete chiamati in causa: pensate certamente – guardando in Tv immagini disgustose – che sia uno scempio fare arrivare le Grandi Navi dentro la laguna di Venezia, ma cosa pensate di fare avallando le scorribande dei taxi attraverso le adiacenze storiche del Duomo? Quello stesso monumento che volete elevare a Bene da proteggere come Patrimonio dell’umanità? Che umanità volete trasmettere alle generazioni future lasciando sostare le grigie scatole di souvenir di giorno in piazza e la notte dentro il complesso monumentale? Dobbiamo sostenere i piccoli commercianti? No scusate. Oggi il turista non compra perché nel bagaglio low cost ci sta una maglietta e un jeans. Il commerciante di souvenir forse deve pensare a ricollocarsi nel mercato in modo diverso, vendendo materiale di qualità con guadagni ben più remunerativi e non chincaglieria cinese. Oggi così facendo consentiamo un accattonaggio 2.0.

State mercificando il patrimonio storico così come il patrimonio ecclesiastico fu saccheggiato e quasi vilipeso con un marketing dozzinale da un noto marchio di moda a uso e consumo di vestitini pacchiani e maglieria intima. “Siamo certi di sapere chi valorizza cosa? Sono davvero questi privati a valorizzare il il Patrimonio? O non è il Patrimonio che valorizza i loro bilanci?” Se fosse valida la prima ipotesi dovrebbero omaggiare gratuitamente delle t-shirt con la scritta I Love Monreale e avremmo un ipotetico riscontro per la città. Invece è la scritta che consente al mercante di realizzare guadagni, perché il brand è “Monreale”.

Tomaso Montanari infatti sostiene la necessità di “parametrare le sedicenti verità sui privati con la misura della Costituzione (di certo una grammatica nota al mio Sindaco) perché l’Art. 9 ha spaccato in due la Storia dell’Arte. La Repubblica tutela il Patrimonio per promuovere lo sviluppo della Cultura, e questo serve al pieno sviluppo della persona umana e alla realizzazione di una uguaglianza sostanziale (Art. 3)”.

Mi aspetto confronti seri e serrati su queste tematiche e non beghe sugli aspiranti nuovi assessori che sgambettano e “inciuciano” per accaparrarsi spazi di notorietà sulla ribalta politica di una povera città. Io non ho assolutamente nulla contro i piccoli commercianti legati a questo povero turismo (tanto non cambierà nulla tranquilli) è una questione di merito sulle logiche perdenti attivate intorno al sistema dei valori comuni. Voglio sentire la pulsione della linfa del cambiamento tanto sbandierata durante le fasi della campagna elettorale e sempre troppo presto accantonata.

Le piccolezze umane mi interessano poco, perché registro invece mediocrità culturale, incapacità a mettere su tavoli di lavoro per la ricerca di soluzioni in modo moderno e aziendale. Non c’è intraprendenza amministrativa anche perché troppo inibita da pulsioni di apparati centripeti piegati a risolvere beghe interne causate da vetuste lotte intestinali sconcertanti.

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