Monreale, la vera storia del Duomo, quella “chiesa troppo grande” che crea solo fastidi…

Sergio Calderaro

Dal paese di Frodo

Monreale, la vera storia del Duomo, quella “chiesa troppo grande” che crea solo fastidi…
Un nuovo scritto del nostro amico Sergio Calderaro svela le vere origini della Cattedrale monrealese

18 Settembre 2014 - 16:00

Siete sicuri di conoscere la storia del Duomo? Direte Guglielmo, bla bla bla, ma ne siete davvero sicuri? Il Duomo è un dono dal cielo. Solo che i monrealesi non hanno ben chiaro il significato di questa “chiesa troppo grande” che negli ultimi periodi ha solo creato fastidi… Un nuovo, permetteteci di dirlo, bellissimo scritto del nostro amico e lettore di MonrealePress Sergio Calderaro che svela come fu costruito il Duomo di Monreale. Un racconto lungo, ma piacevole da leggere, che abbiamo diviso in due puntate. Oggi la prima parte. La conclusione domani.

Finora vi confesso che avevo pensato che il “Grande Incendio” fosse stato un caso, ma poi ho scoperto con raccapriccio, grazie anche al Professor Giacinto Talpa, che non è andata come pensavo. Per questo voglio portare a conoscenza pure voi, che avete avuto tanta pazienza nel leggere i miei (modestissimi) scritti, dei fatti così come li abbiamo interpretati.

Il vecchio paese era in parte arroccato su un costone collinoso. A metà del costone, in pieno centro c’era una spianata di terra enorme. Era adibita in parte a deposito permanente di rifiuti, che naturalmente non mancavano mai, in parte a pascolo per animali diversi, in parte ancora a parcheggio di mezzi, anche da rottamare . In una notte di luna nuova, mentre la città dormiva, se foste stati da quelle parti, avreste visto un’ombra enorme, lenta e solenne scendere dal cielo. All’ inizio non si capiva che cosa stesse capitando, poi, nella poca luce di quella notte di tiepido autunno, nel cielo, a distanza sempre più ravvicinata, una massa enorme di una strana forma sembrava avvicinarsi.

Lenta, placida, sicura la massa cominciò a posarsi proprio sulla vecchia spianata, schiacciando tutto quello che lì si trovava (a quell’ora solo le carcasse). Non si capiva ancora cosa fosse, in parte per il buio di quella notte, in parte perché questa enorme massa che scendeva dal cielo aveva una forma particolarissima e mai vista. Alla fine, per farla breve, la massa, così come si era mossa in maniera del tutto silenziosa, si posò sulla spianata di terra senza quasi fare rumore e, a parte qualche nuvoletta di polvere che si era sollevata al momento dell’impatto col suolo, si compì quello che potremmo sicuramente definire un vero e proprio “atterraggio”.

Passò la notte, la cittadina cominciava a risvegliarsi ed i primi pastori cominciavano a recarsi sulla solita spianata per pascolare gli animali. Grande fu lo stupore del primo che arrivò sul consueto posto dove era abituato da sempre a portare gli animali. È evidente che non trovò la spianata solita, ma il misterioso, gigantesco agglomerato che durante la notte si era posato proprio lì. Se vi foste trovati al suo posto sono sicuro che anche voi avreste avuto la stessa reazione: sorpresa, paura, disagio, confusione e quindi avreste urlato esattamente come fece lui (magari qualcuno sarebbe pure svenuto). Ma l’uomo, come si sa, non è fatto per “viver come bruto, ma per seguir virtute e conoscenza” e, dopo aver perlustrato l’ammasso di pietra, realizzò che non era affatto un qualsiasi ammasso di pietre, ma che invece aveva forme aggraziate, armoniche, gradevoli e cercava di capire che cosa gli ricordava quella forma così particolare. Pensa che ti ripensa ebbe un’illuminazione: sembrava una chiesa, ma molto, molto grande.

Nel frattempo altre persone si erano aggiunte al nostro pastore e tutte avevano stampata in faccia una grande meraviglia mista ad un poco di paura e a tanta curiosità. “Che cos’è?” Disse uno. “Boh!” dissero gli altri “pari na chiesa”. “È troppo ranni pi essere chiesa” aggiunse uno che di solito era fra i cittadini più ascoltati del paese. “Pruvamu a trasiri?” disse un altro “Nonsi, è sicuro can un si ci po’ trasiri: sarà tutta china oppuru  rintra nun c’è nenti”   sentenziò “lo Sperto”  Ma siccome, come vi dicevo prima: “fatti non foste….etc, etc…” un gruppetto provò, dopo aver fatto il giro lungo il perimetro, ad entrare da una delle grandi porte che  pure si aprivano verso l’ interno. Il grande portone centrale (quello sul lato corto della chiesa) si aprì facilmente e dolcemente verso l’interno sotto la spinta di un certo numero di uomini. La luce era poca a quell’ora di mattina, si intravedeva però nella fioca luce dei primi raggi del sole un brillio come di metalli preziosi su tutte le pareti della costruzione che era vuota all’interno. Le pareti poi non erano bianche, ma coloratissime, sembravano rivestite di drappi di uno strano materiale come un tessuto, ma fatto di centinaia, migliaia, milioni, forse miliardi di pietruzze multicolori e luccicanti, diverse l’una dall’altra, ma che accostate insieme componevano quadri e scene che sembravano ispirarsi a storie antiche di altri mondi.

Man mano che si addentravano, sempre più sicuri e sempre più increduli, i nostri scopritori continuavano chi timidamente, chi con decisione a toccare quelle pietruzze colorate che sembravano oltretutto evocare qualcosa di magico. I commenti e le bocche aperte li potete facilmente immaginare. Ma la cosa più sorprendente si vide in tutta la sua meraviglia solo quando il sole, che nel frattempo si era alzato, riuscì ad illuminare una enorme figura sistemata nella parte alta in fondo alla chiesa. Un enorme mezzobusto di un grandioso signore con la barba che guardava tutti dall’alto e che, cosa che notarono tutti quasi subito, anche se si spostavano da un lato all’altro della grande galleria centrale riusciva,  pur stando fermo, a seguire tutti con lo sguardo. “Ci viri” disse uno, “Mi talia” disse un altro, “Talia puru a mia” aggiunse uno che era dall’altra parte. Nel frattempo, a porte aperte, cominciarono ad entrare altre persone e anche quelle rimasero “alluccute” dalla meraviglia.

Che fosse qualcosa di unico lo avevano capito tutti (era arrivato di notte, dal cielo, era enorme, era splendido), ma ancora non capivano a che cosa potesse servire. Infatti, come disse un alto esponente della allora religione imperante, era troppo grande e troppo ricca per poterla utilizzare come luogo di culto. Considerando oltretutto il fatto che di chiese, quelle vere, il paese ne aveva in abbondanza e di una cosa così impegnativa, e, diciamolo “così sopra le righe” il paese non aveva certo bisogno. Fra l’altro quelli che usavano lo spazio ora occupato dall’ edificio per posteggiare la macchina o per pascolare le pecore ora si trovavano in grande difficoltà perché era così comodo posteggiare su quella distesa di terra a metà paese, pianeggiante e alla vista di tutti; anche i pastori cominciarono, dopo lo stupore iniziale, a lamentarsi del mancato pascolo e del futuro, certo, mancato guadagno. Serpeggiava insomma un certo, generalizzato malumore.

Fu tentato di percorrere altre strade che portassero ad utilizzare questo dono venuto dal cielo (letteralmente). C’era un gruppo di finanziatori molto ricco che aveva pensato di trasformare la volumetria dell’immenso edificio in piccoli mini appartamenti in multiproprietà, altri che volevano farne un prestigioso centro commerciale, c’era persino chi suggeriva di “recuperare” le tessere (a proposito quelle che sembravano erano proprio d’oro zecchino) e venderle singolarmente o in stock per, come si diceva allora, “fare cassa” dato che le risorse in quel benedetto paese non bastavano mai. (Fine prima parte)

(LA FOTO È DI VINCENZO GANCI)

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