I corti del duo Moschella&Mulè al Real Teatro Santa Cecilia

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I corti del duo Moschella&Mulè al Real Teatro Santa Cecilia

30 Gennaio 2017 - 15:06

Due film brevi, dal passo cinematografico il primo (U vattiu) e quello della docufilm il secondo (Il sorcio). Raccontano, attraverso occhi particolari Palermo e un certo tipo di sicilianità. Com’è cambiata e com’è ancora oggi. La famiglia e le sue relazioni sociali, la lotta e l’impegno. Il duo Moschella e Mulè sul grande schermo interpretano scorci di vita passata e presente, riflettendo i mutamenti della socialità e analizzando tutto quello che l’ha portata a diventare ciò che è adesso. Al Real Teatro Santa Cecilia lunedì 6 febbraio alle ore 20,30 la proiezione dei corti “Il sorcio” e “U vattìu” (il battesimo) di Giuseppe Moschella, quest’ultimo semifinalista al Los Angeles Cinefest e finalista al Second Asia International Youth Short-film. A condurre la serata Ottavio Amato, modera Giulio Cusumano. Si esibiranno dal vivo Diego Spitaleri (piano – autore della colonna sonora dei film brevi), Anna Bonomolo (voce – presente con una sua canzone ne U vattiu) e Alessio Scarlata (voce). Interverranno Francesco Puma (critico cinematografico), Mario Modestini (musicista, compositore), Rosaria Vinciguerra (psicologa). Saranno presenti anche Salvo Vitale e Giovanni Impastato presenti in uno dei corti. Durante la serata verranno proiettati i contributi video di Antonio Catania, Ernesto Mahieux, Daniele Cipri, Gianfranco Jannuzzo, Giampiero Ingrassia, Sergio Friscia.

“Il sorcio” è una docufiction scritta ed ideata da Giuseppe Moschella. Testimone e narratore è l’unico essere vivente in grado di tramandare il proprio patrimonio genetico, un topo, che attraversa fatti e personaggi che dal sacco di Palermo ad oggi hanno distrutto o animato il volto della città. Il progetto nasce per diventare potenziale e infinito contenitore di eventi speciali accaduti realmente, visti da una prospettiva diversa. I protagonisti, a parte i personaggi-attori, sono gli occhi e le orecchie di un sorcio, colui che ha libero accesso dove l’uomo comune non può mettere piede: archivi, procure, case, depositi. Il topo ci rivela brutture e bellezze che sarà in grado di tramandare di generazione in generazione. “Soggettive ora basse, ora veloci, rivelano allo spettatore la dimensione visiva e la prospettiva del sorcio – spiega Moschella – che da angoli insperati si imbatte “involontariamente” in personaggi che raccontano attraverso le loro storie misteri e segreti del nostro paese”. I protagonisti di queste prime tre storie sono: il barbiere di un noto importante politico degli anni Settanta; Peppino Impastato e la figlia di un boss che ha deciso di denunciare il padre. Uomini e topi, come nell’omonimo film di Lewis Milestone sono stranamente accomunati nel subire l’imprevedibilità del destino che fa fallire sempre i propri piani e le proprie ambizioni, causando una sorte di malessere latente e inestinguibile.

Il corto “U vattiu” è la storia del “battesimo” di Gino, un ragazzo poco più che ventenne, nel clan di appartenenza del padre. Ma il ragazzo è omosessuale e soltanto la forza della madre Angela potrebbe salvarlo dalla vita a cui il padre, Salvatore Capuano detto “l’ingegnere”, vuole destinarlo. Un equilibrio delicato quanto precario messo in discussione. Un progetto audiovisivo di Giuseppe Moschella, attore, regista ed autore siciliano che qualche anno fa ha ideato e scritto questa storia. “Un “battesimo” che diviene momento emblematico di liberazione qui affidato al ruolo della donna – racconta Moschella – strumento indispensabile di presa di coscienza e coraggiosa azione, nonché possibile specchio in cui ogni cittadino possa vedere riflessa la sana rivendicazione della propria dignità”. Il film è in bianco e nero, dimensione amata dal regista in quanto contribuisce a sottolineare i contrasti della sua terra e circoscrive i suoi conflitti e la sua bellezza in uno spazio fuori dal tempo. Il progetto vuole promuovere quei valori in grado di conferire reale stabilità al nucleo sociale partendo dal microcosmo familiare, dove imperante dovrebbe essere il dialogo e l’accettazione dell’altro.

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